Sanzione dal 25% al 50% delle spese non sostenute

Di Maria FRETTO

La sanzione prevista dall’art. 8 comma 2 del DL 16/2012, volta a punire il comportamento antigiuridico consistente nella dichiarazione di spese e altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, non contrasta con il principio di proporzionalità, né con l’art. 3 Cost., anche se stabilita per un’ipotesi ove manca un’evasione di imposta.
A questa conclusione è giunta la Suprema Corte con la sentenza n. 7301/2021.

Nel caso di specie, la sanzione è stata invocata dal giudice del rinvio, chiamato ad applicare l’art. 8 comma 2 del DL 16/2012, in quanto norma sopravvenuta. E l’ha potuta impiegare proprio perché si trattava di un regime sanzionatorio di maggior favore, rispetto all’infedeltà dichiarativa originariamente utilizzata.
In base alla disposizione citata, nel caso in cui debbano essere esclusi dall’imponibile i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati (entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione), è dovuta una sanzione dal 25% al 50% dell’ammontare delle spese o altri componenti negativi. Ad avviso dal ricorrente qui, mancando o potendo mancare un’evasione d’imposta, la sanzione diventa illegittima per contrarietà ai principi di proporzionalità ed eguaglianza.

Secondo i giudici di legittimità, la ratio della sanzione introdotta nel 2012 è in verità quella di colpire la condotta antigiuridica consistente, segnatamente, nell’utilizzo di fatture inesistenti; ciò, con una penalità proporzionale al valore dei costi relativi ai beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati. La sanzione è finalizzata a colpire esclusivamente la condotta antigiuridica citata, indipendentemente dal fatto che ci sia o meno evasione.

La circostanza che non vi sia evasione non fa però venir meno il disvalore della condotta, né la sua insidiosità, che ben giustificano la reazione sanzionatoria. Tutto questo anche perché, in ogni caso, sono previsti un minimo e un massimo edittali (ritenuti “modesti” dalla Corte), nonché la possibilità di applicare la riduzione fino alla metà del minimo prevista, per tutte le sanzioni tributarie, dall’art. 7 comma 4 del DLgs. 472/1997.

Per la Cassazione, infine, va escluso che la citata sanzione possa essere contestata in base al principio di parità di trattamento se posta a confronto con quella di cui all’art. 1 comma 2 del DLgs. 471/1997, posto che le due sanzioni hanno presupposti impositivi e criteri di calcolo diversi e non equiparabili.
L’aspetto di maggior interesse della sentenza, in effetti, è proprio il tentativo svolto dalla Suprema Corte di precisare la linea di confine tra la sanzione di cui all’art. 8 del DL 16/2012 e quella dell’art. 1 del DLgs. 471/1997 citati.
Gli ambiti di applicazione delle due sanzioni sono in verità diversi. L’art. 8 comma 2 del DL 16/2012 colpisce quelle condotte in cui, pur non realizzandosi un’infedeltà dichiarativa, il contribuente ha comunque utilizzato componenti negative inesistenti. Al contrario, l’art. 1 commi 2 e 3 del DLgs. 471/1997 presuppone una dichiarazione infedele, dove le indebite detrazioni o deduzioni, realizzate mediante documentazione falsa o per operazioni inesistenti, hanno come effetto di far emergere un’infedeltà dichiarativa.

La Corte – in risposta all’apposita censura – ha inoltre ritenuto la sanzione rispettosa anche del principio europeo di proporzionalità, ritenuto peraltro non applicabile al caso di specie, posto che l’art. 8 comma 2 riguarda le imposte sui redditi e non tributi armonizzati. Per giungere a questa decisione i Supremi Giudici hanno preso le mosse dalla Relazione illustrativa all’art. 8, nella quale si legge che con il 2° comma si è inteso colpire con una specifica sanzione l’antigiuridicità dell’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e, al contempo, salvaguardare il principio di capacità contributiva.

Da ciò il Collegio ha potuto concludere che “il legislatore ha ritenuto la sanzione doverosa in conseguenza della condotta antigiuridica, cosicché la sua determinazione in una misura modesta, nel minimo, ma anche nel massimo (rispettivamente 25 e 50 per cento), delle spese falsamente dichiarate, oltretutto riducibile ulteriormente per i meccanismi del diritto interno ed unionale, onde conformarla al principio di proporzionalità, non può essere ritenuta sproporzionata”.

Pur non essendo applicabili i principi europei alle imposte sui redditi, si può comunque valorizzare il fatto che la giurisprudenza unionale considera, quale principale ragion d’essere delle sanzioni, la loro capacità dissuasiva, finalizzata a garantire l’effettività del diritto. In quest’ottica, la sanzione introdotta dall’art. 8 comma 2 ha una spiccata funzione dissuasiva, perché punisce una condotta illegittima (l’utilizzo di costi per operazioni inesistenti per abbattere l’imponibile) che, altrimenti, rischierebbe di restare priva di conseguenze, non essendoci alcuna ripresa a tassazione.