Differenti le ricostruzioni prospettate in giurisprudenza

Di Maurizio MEOLI

Ai sensi dell’art. 2385 commi 1 e 2 c.c., la rinunzia all’incarico da parte dell’amministratore ha effetto immediato se rimane in carica la maggioranza del CdA; in caso contrario, ha effetto dal momento in cui la maggioranza del consiglio si è ricostituita in seguito all’accettazione dei nuovi amministratori. La cessazione degli amministratori per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il CdA è stato ricostituito.
Ai sensi dell’art. 2386 comma 5 c.c., inoltre, se vengono a cessare l’amministratore unico o tutti gli amministratori, l’assemblea per la nomina dell’amministratore o dell’intero consiglio deve essere convocata d’urgenza dal collegio sindacale, il quale può compiere nel frattempo gli atti di ordinaria amministrazione.
Tale disciplina, dettata con riguardo alle spa, è ritenuta applicabile anche a tutte le società di capitali (cfr. Cass. 3 gennaio 2013 n. 28).

Al fine di assicurare la continuità dell’attività gestoria, quindi, da un lato, nelle ipotesi in cui gli effetti della cessazione sono differibili (rinuncia o scadenza del termine), è previsto l’istituto della prorogatio (con conservazione di pieni poteri), dall’altro, quando gli effetti della cessazione non sono differibili (decadenza o morte di tutti gli amministratori o dell’amministratore unico), trova applicazione l’istituto della supplenza.

Non è chiaro, peraltro, cosa accada in caso di revoca dell’amministratore unico (o di tutti gli amministratori). La Cassazione, nella già citata sentenza n. 28/2013, ha affermato che la regola della contestualità tra cessazione e sostituzione dell’amministratore unico è applicabile in ogni caso in cui la società rimanga privata della sua opera: e pertanto non solo nei casi di scadenza di termini e dimissioni, ma anche in quelli di decadenza, revoca o annullamento per illegittimità della relativa delibera di nomina.

In precedenza, peraltro, il Tribunale di Milano 22 marzo 1993 – in relazione al previgente art. 2393 comma 3 c.c., che al pari dell’odierno 2393 comma 5 c.c. (di dubbia applicabilità alle srl) dispone la revoca dell’amministratore in caso di azione di responsabilità deliberata da almeno 1/5 del capitale sociale – pur negando l’operatività della prorogatio in caso di revoca dell’amministratore unico, gli ha riconosciuto il potere di convocare l’assemblea per procedere alla propria sostituzione.

Il Tribunale di Roma 25 settembre 2007, inoltre, ha stabilito che l’istituto della prorogatio trova applicazione anche nei confronti dell’amministratore revocato giudizialmente ex art. 2476 comma 3 c.c., il quale, non ancora sostituito dai soci, ha il potere-dovere di compiere tutti gli atti di ordinaria amministrazione fra cui, in particolare, quelli inerenti alla convocazione dell’assemblea per la sua sostituzione, nonché quelli urgenti per la salvaguardia dell’interesse sociale.

Il Tribunale di Como 2 agosto 1999, di contro, anch’esso con riguardo al previgente art. 2393 comma 3 c.c., ha reputato tale norma chiarissima nell’escludere qualsiasi prorogatio dell’amministratore revocato ex lege e non contestualmente sostituito, quand’anche per la sola ordinaria amministrazione e, persino, per il solo atto di convocazione dell’assemblea per la nomina del suo successore. Tanto più che nel caso patologico in cui la società rimanga priva dell’organo gestorio non si configurerebbe l’assoluta impossibilità per la stessa di funzionare. Ciò perché non solo l’impossibilità di funzionamento deve essere permanente, oltre che attuale, ma perché al vuoto di potere si può porre rimedio, a seconda delle situazioni di fatto che lo hanno originato, o con un’iniziativa endosocietaria, da individuarsi nella costituzione in assemblea totalitaria, o attraverso un meccanismo extrasocietario, quale il ricorso al Tribunale ex art. 2367 c.c.

Più di recente, inoltre, il Tribunale di Firenze 29 luglio 2019 ha affermato che l’istituto della prorogatio opera nelle ipotesi, per così dire, “fisiologiche” di cessazione dell’amministratore per scadenza del termine e di dimissioni; non, invece, in quelle “patologiche”, ovvero nei casi in cui sia necessario intervenire giudizialmente per evitare la prosecuzione di atti di mala gestio.

Da ultimo, infine, il Tribunale di Cagliari 20 dicembre 2019, dopo aver ricordato la puntualizzazione fornita dal Tribunale di Firenze, ha stabilito che l’istituto della prorogatio non si applica all’amministratore unico revocato in sede giudiziale anche nell’ipotesi in cui non dovesse esistere un organo di controllo. Ammettere la prorogatio dell’amministratore giudizialmente revocato, infatti, significherebbe vanificare gli effetti del provvedimento giudiziale, pur in presenza di gravi irregolarità gestionali che hanno giustificato la revoca, e consentire altresì all’amministratore revocato di continuare ad amministrare la società sine die, nell’ipotesi in cui i soci non addivengano ad alcuna decisione. Pertanto, si reputa precluso all’amministratore revocato il compimento di qualsiasi atto gestorio, anche considerando come l’esigenza di individuare un soggetto che, nelle more del procedimento per la nomina di un liquidatore, presieda allo svolgimento dell’attività d’impresa, integri una questione non riguardante l’amministratore revocato (nella specie, non socio), ma soltanto i soci.