La Cassazione si sofferma sui rapporti tra le fattispecie di reato previste nel DLgs. 14/2019 e quelle disciplinate dal RD 267/42

Di Maria Francesca ARTUSI

Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza non è ancora pienamente in vigore.
Già nell’impostazione originaria, il DLgs. 14/2019 ha previsto tempistiche differite a seconda delle disposizioni ivi introdotte; tempistiche che si sono ulteriormente dilatate a seguito dell’emergenza COVID-19 tutt’ora in corso.
Dal punto di vista del diritto penale fallimentare, la riforma in questione ha interessato in maniera molto marginale la disciplina della bancarotta, limitandosi ad alcune modifiche lessicali e all’abrogazione di fattispecie penali da tempo non oggetto di applicazione nella pratica. Ciò nonostante, è stato evidenziato da più parti che l’impostazione generale che contrassegna il decreto, incentrata sulla valutazione del rischio di insolvenza, può determinare comunque alcune significative novità.
Sul punto si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12056, depositata ieri. Si trattava di una bancarotta fraudolenta pluriaggravata, patrimoniale e documentale, contestata all’amministratore unico di una srl dichiarata fallita (art. 216 e art. 223 del RD 267/42).

Nelle argomentazioni della pronuncia viene, innanzitutto, ribadito che la sottrazione o dissipazione di un bene pervenuto alla società fallita a seguito di contratto di “leasing” integra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quanto la perdita del valore del bene, suscettibile di riscatto, e l’onere economico derivante dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione verso il concedente determina un pregiudizio per la massa fallimentare. Allo stesso modo, nessun rilievo dispiega la circostanza per cui un bene, intestato alla società, sia stato acquistato con risorse di terzi, realizzandosi in tal caso – e in assenza della prova della simulazione – una donazione indiretta, che incrementa il patrimonio della società e che vincola il bene alla garanzia generica di cui all’art. 2740 c.c., con la conseguenza per cui, ove lo stesso bene non sia consegnato alla curatela, viene a configurarsi un atto dissipativo, peraltro generante di per sé delle passività, facendo gravare sulla società intestataria dell’autoveicolo gli oneri connessi.
In sintesi, in caso di intestazione di beni alla fallita, spetta all’imputato, che ne rivendichi l’altrui sostanziale proprietà, dimostrare che trattasi di mera titolarità formale di beni di cui la società non abbia mai avuto la disponibilità.

D’altra parte viene ribadito il principio per cui l’amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta, in frode ai creditori, delle scritture contabili anche se sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società fallita (cosiddetta “testa di legno”), in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture, purché sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari (tra le altre Cass. n. 43977/2017).

L’aspetto più interessante della pronuncia in esame attiene però, come si è detto, alla tematica dei rapporti con la nuova disciplina “in divenire” in materia di crisi di impresa. Viene, infatti, evidenziata dai giudici la totale “continuità normativa” rispetto al passato che connota i profili penalistici del nuovo Codice.

Quanto alle modifiche introdotte nelle norme civilistiche che presiedono ai presupposti della liquidazione dell’impresa e alla relativa procedura, solo in minima parte già entrate in vigore (in applicazione del comma secondo dell’art. 389 del DLgs. 14/2019), sostituendo al “fallimento” la “liquidazione”, secondo la Cassazione “non si ravvisano elementi concreti – e certo non possono esserlo la diversa distribuzione di compiti e poteri del giudice delegato, del curatore, dei creditori e del soggetto interessato e le diverse scansioni processuali – tali da mutare il presupposto, l’insolvenza dell’impresa, su cui si fondano le norme penali, che, difatti, sono rimaste immutate, tranne nell’aggiornamento del lessico dei nuovi presupposti di applicabilità”.

Da evidenziare sarebbero, soprattutto, le misure premiali inserite nell’art. 25 del DLgs. 14/2019 che, al comma 2, esclude la punibilità di alcuni dei reati fallimentari quando il danno cagionato è di speciale tenuità per colui che abbia tempestivamente presentato istanza all’organismo di composizione assistita della crisi d’impresa (OCRI) ovvero domanda di accesso a una delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza se, a seguito delle stesse, viene aperta una procedura di liquidazione giudiziale o di concordato preventivo ovvero viene omologato un accordo di ristrutturazione dei debiti. Simile condotta – laddove mancasse la speciale tenuità – potrebbe integrare una circostanza attenuante della pena laddove ricorrano gli ulteriori presupposti richiesti dalla medesima disposizione. Misure premiali che, tuttavia, non vengono prese in considerazione nel caso in esame.