È legittimo se non tutti i beni dell’utilità economica tratta dall’attività illecita sono individuabili, ma la legittimità dipende dalla condizione di sussidiarietà

Di Maria Francesca ARTUSI

Nella sentenza n. 6391 della Corte di Cassazione, depositata ieri, viene affrontato il tema della confisca relativamente ai reati di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (art. 2638 c.c.) e di false comunicazioni sociali nelle società quotate (art. 2622 c.c.).

In particolare, si contestava al codirettore di una banca, società cooperativa per azioni sottoposta per legge a controllo e supervisione delle autorità pubbliche di vigilanza, in concorso con il responsabile della direzione business e con il responsabile dell’internal audit, di aver ostacolato l’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza demandate alla Banca d’Italia, comunicando falsamente un ammontare dei fondi propri della banca non corrispondente al vero, nonché di avere indicato, nel bilancio individuale e consolidato della banca, valori non rispondenti al vero in ordine al possesso di azioni e obbligazioni proprie e, dunque, al patrimonio netto (e di vigilanza), omettendo di dedurre dal capitale l’acquisto di titoli propri del medesimo istituto di credito, acquistati mediante la concessione di molteplici finanziamenti direttamente e/o indirettamente utilizzati per l’acquisto di azioni proprie.
Le medesime condotte hanno fondato la contestazione dei corrispondenti illeciti amministrativi nei confronti della banca ai sensi del DLgs. 231/2001.

Conseguentemente è stato disposto il sequestro preventivo in funzione della successiva confisca obbligatoria – diretta e per equivalente – del profitto di tali reati, secondo quanto previsto per i reati societari dall’art. 2641 c.c.
Quest’ultima norma condivide la medesima struttura e formulazione di altre disposizioni presenti nel codice penale e nelle leggi speciali in materia di confisca, individuando due diverse tipologie di confisca: la confisca “diretta” (misura di sicurezza) del prodotto o del profitto del reato e dei beni utilizzati per commetterlo; la confisca “per equivalente” (misura a contenuto eminentemente sanzionatorio) per un valore corrispondente a prodotto, profitto, beni strumentali.
Esso sancisce, altresì, il rapporto di sussidiarietà della confisca di valore (del prodotto, profitto, beni strumentali) rispetto alla confisca diretta che deve essere esperita in via prioritaria.

La Cassazione precisa, in proposito, che il sequestro disposto anche solo parzialmente nella forma per equivalente (sequestro “misto”) deve ritenersi legittimo qualora non tutti i beni costituenti l’utilità economica tratta dall’attività illecita risultino individuabili (Cass. n. 38858/2016). Tale legittimità dipende però dalla condizione di sussidiarietà, che, in astratto, non può dipendere dalla ricerca “diretta” dei beni strumentali limitata al patrimonio dell’indagato e alla relativa incapienza. Questo significa che il giudice di merito non può esimersi dal motivare specificamente perché quei beni strumentali se non reperiti presso l’indagato non possano trovarsi presso altri e dunque non avrebbe senso ricercarli altrove, di talché una volta verificato che non si trovano presso l’indagato può per ciò solo farsi ricorso alla confisca per equivalente.
Nel caso di specie, dunque, viene annullato il sequestro con rinvio per un nuovo esame della questione.

Vale ancora la pena evidenziare che la sentenza in esame fa un passaggio anche in tema di responsabilità degli enti, precisando che, nell’ottica del citato principio di sussidiarietà, è irrilevante l’assenza di una richiesta cautelare da parte del pubblico ministero finalizzata al sequestro verso l’ente ex DLgs. 231/2001.

Ciò perché il regime di operatività del sequestro preventivo penale e la connessa possibilità di vincolare “in via diretta” beni strumentali presenti nel patrimonio della persona giuridica sono del tutto slegati da una eventuale richiesta cautelare ai sensi del citato decreto “231”.
Ne discende che la scelta del pubblico ministero di non formulare istanza cautelare reale per la responsabilità amministrativa dell’ente non si riverbera sul meccanismo di sussidiarietà di cui agli artt. 2641 c.c. e 321 comma 2 c.p.p., tanto è vero che quel meccanismo opera, pacificamente, anche nei casi di reati per i quali non è prevista la responsabilità dell’ente.

Sempre con riferimento alla responsabilità della banca, viene precisato che il comma 3 dell’art. 2641 c.c., nel rinviare alla disciplina generale dettata dall’art. 240 c.p., ha inteso esplicitare l’esclusione, dall’oggetto della confisca, delle cose possedute dalla “persona estranea al reato”. È pacifico, tuttavia, che l’ente che trae profitto dall’altrui condotta illecita non può mai essere considerato terzo “estraneo” al reato (cfr. per tutte Cass. SS.UU. n. 10561/2014, e, più di recente, Cass. n. 17840/2019).