La circolare n. 2/2021 delle Entrate restringe la nozione di Stati o territori non cooperativi ai fini degli obblighi di comunicazione DAC 6

Di Gianluca ODETTO

La circolare n. 2/2021 dell’Agenzia delle Entrate sulle comunicazioni DAC 6 (§ 8.3.1) ha risolto in senso positivo una questione che aveva sollevato alcune perplessità in occasione della diramazione della bozza per commenti, legata alle operazioni connotate dall’elemento distintivo C.1.b.2 (pagamenti deducibili tra due imprese associate, dove il destinatario è residente ai fini fiscali in una giurisdizione “inserita in un elenco di giurisdizioni di paesi terzi che sono state valutate collettivamente dagli Stati membri o nel quadro dell’OCSE come non cooperative”).

Nella bozza di circolare, l’Agenzia delle Entrate evidenziava che per l’individuazione degli Stati non cooperativi ci si doveva rifare:
– all’elenco dei Paesi non collaborativi collettivamente valutati dagli Stati membri;
– ai Paesi che presentano un rating generale (overall rating) “non compliant” o “partially compliant” contenuto nella “list of jurisdictions that do not comply with the tax transparency standards” elaborata dall’OCSE.

Per quanto riguarda il primo punto, si tratta della black list fiscale dell’Unione europea, stilata il 5 dicembre 2017 e successivamente modificata (l’ultima volta nell’ottobre del 2020). Essa comprende 12 Stati o territori: Anguilla, Barbados, Guam, Isole Figi, Isole Samoa statunitensi, Isole Vergini statunitensi, Palau, Panama, Samoa, Seychelles, Trinidad e Tobago e Vanuatu.

Il problema si poneva, invece, per la seconda lista, posto che tra le giurisdizioni partially compliant vi rientrano anche Stati con un largo interscambio con l’Italia, quali il Kazakistan o la Turchia, e persino uno Stato appartenente all’Unione europea (Malta). Si profilava, quindi, la necessità di uno screening abbastanza approfondito nei conti delle società per verificare le transazioni con tali Stati, similare per certi versi a quello che ha caratterizzato l’abrogata disciplina dei costi “black list” (art. 110 commi 10 e seguenti del TUIR).

Nella versione definitiva della circolare questa impostazione è stata rivista in modo radicale. I criteri sono stati individuati in quelli concordati in sede OCSE/G20 (Rapporto “OECD Secretary General Tax Report to G20 leaders” del novembre 2020), nel cui Allegato I.A si precisa che gli Stati o territori si considerano rispondenti agli standard di trasparenza se soddisfano almeno due dei seguenti tre criteri:
– essere (almeno) “largely compliant” nelle procedure di scambio di informazioni su richiesta (EOIR);
– essere in regola con le procedure di scambio automatico di informazioni (AEOI), avendo iniziato gli scambi alla fine del 2018 o avendo attivato accordi allo scopo entro la fine del 2019;
– avere recepito e implementato la Convenzione per la mutua assistenza ai fini fiscali.

Ciò nonostante, lo Stato o territorio si considera non cooperativo se, pur avendo soddisfatto due dei tre criteri sopra evidenziati, alternativamente:
– presenta un EOIR overall rating “non compliant”;
– non è in regola con le procedure AEOI.

Sulla base di questa indicazione, gli Stati non “trasparenti” sarebbero solo cinque, e tutto sommato marginali: Anguilla, Dominica, Niue, Sint Maarten e Trinidad e Tobago (dall’incrocio delle liste parrebbe doversi aggiungere anche il Guatemala).

La formulazione letterale delle norme di riferimento sembrerebbe indicare che, se anche solo una delle valutazioni (Unione europea o OCSE/G20) è negativa, ciò porti a considerare lo Stato estero come non cooperativo ai fini delle comunicazioni DAC 6 (è, ad esempio, il caso di Panama), ma sulla questione la circolare n. 2/2021 non si è espressa.

Si può in ogni caso evidenziare che, per effetto della nuova impostazione assunta dall’Agenzia delle Entrate, gli obblighi di comunicazione rientranti in questo hallmark potranno ridursi di molto (basti pensare a quanti gruppi italiani hanno controllate, ad esempio, in Turchia, Stato ora “sbiancato”).

Le operazioni in questione sono, in ogni caso, rilevanti ai fini della comunicazione se intervengono tra imprese associate, nell’accezione che dà del termine l’art. 2 comma 1 lettera e) del DLgs. 100/2020, integrato dall’art. 8 comma 2 del DM 17 novembre 2020, in genere legata ad una soglia minima di partecipazione del 25%. Sono, quindi, esclusi dal monitoraggio (sempre che, naturalmente, non si rientri in situazioni contemplate da altri elementi distintivi) i meri rapporti di fornitura con le imprese estere residenti o localizzate negli Stati o territori non cooperativi.

L’obbligo di comunicazione sorge, in questi casi, in modo indipendente dalla verifica del test del vantaggio principale, per cui ciò che rileva è che si sia in presenza di costi che determinano un vantaggio fiscale (fatto automatico ove il soggetto pagatore è un’impresa italiana), senza potere invece addurre quale esimente il fatto che i vantaggi extrafiscali sono preponderanti.