Non sono mai usciti dalla titolarità del debitore-indagato e possono essere sottoposti al vincolo senza che vengano in rilievo diritti di proprietà di terzi

Di Stefano COMELLINI

Pur riguardando direttamente un ambito procedurale (vale a dire la ricorribilità dell’ordinanza del riesame cautelare solo per violazione di legge e non anche per difetto di motivazione), la sentenza n. 4754 depositata ieri dalla Cassazione consente di riprendere il tema della sequestrabilità penale dei beni costituiti in pegno.

Nel caso di specie un istituto di credito, in veste di terzo interessato, aveva impugnata l’ordinanza con la quale era stata rigettata la sua richiesta di restituzione di una somma di denaro giacente sul conto corrente e oggetto di un contratto di pegno, sottoposta a sequestro preventivo per equivalente nei confronti di un cliente, amministratore di società, indagato per i reati di cui agli artt. 10-bis (“Omesso versamento di ritenute dovute o certificate”) e 10-ter (“Omesso versamento di IVA”) del DLgs. n. 74/2000.

Rilevante per la migliore comprensione della vicenda è che la garanzia pignoratizia era originariamente stata data con strumenti finanziari dematerializzati e, a seguito della scadenza degli stessi, si era trasferita sulle somme incassate, dando così luogo ad un pegno che la banca, adducendo una specifica clausola di rotatività (secondo le norme bancarie uniformi), assumeva essere di natura “irregolare”. In altre parole, per l’istituto non poteva ritenersi che, alla scadenza dei titoli, la garanzia si fosse trasferita su banconote da conservarsi fisicamente in cassaforte.

Con una prima pronuncia (Cass. n. 5295/2020), la Corte annullava il vincolo rinviando al giudice di merito per una nuova decisione sulla base del consolidato principio per cui la possibilità di sottoporre a sequestro penale beni costituiti in pegno è consentita laddove si tratti di pegno regolare (Cass. n. 36293/2011) e non, invece, quando la garanzia sia qualificabile come pegno irregolare, posto che quest’ultimo determina il trasferimento della proprietà del bene in capo al creditore (Cass. n. 23659/2010).

In quella prima decisione, la Corte ribadiva che laddove la garanzia cada su titoli obbligazionari, il pegno deve ritenersi regolare quando difetta il conferimento alla banca della facoltà di disporre del relativo diritto (Cass. n. 38824/2017). Laddove si tratti, invece, di somme di denaro, non può disporsi il sequestro preventivo per equivalente quando le stesse, depositate su conto corrente, siano state costituite in pegno irregolare a garanzia di una obbligazione dell’imputato, attesa l’immediata acquisizione della proprietà delle stesse da parte del creditore (Cass. n. 19500/2016). Infatti, ai fini della individuazione e differenziazione del pegno irregolare rispetto a quello regolare, non rilevano il nomen contrattualmente attribuito al rapporto e il fatto che la somma di denaro rimanga depositata su un conto corrente bancario intestato al debitore e continui a maturare interessi; decisiva è, invece, la circostanza che, nel caso di inadempimento del debitore, il creditore abbia la facoltà di soddisfarsi, immediatamente e direttamente, su quanto dato a pegno ex art. 1851 c.c., ovvero debba attivare una forma di vendita pubblica ex artt. 2796 e 2797 c.c.

Confermato nuovamente dal giudice cautelare il vincolo sulle somme, a fronte del nuovo ricorso della banca, con la sentenza in esame la Cassazione ne ha dichiarato l’inammissibilità, facendo propria la lettura del contratto di pegno offerta dai giudici di merito: pegno regolare, pur in presenza della costituzione in garanzia di un bene fungibile quale, tipicamente, il denaro depositato presso la banca creditrice pignoratizia. Questo perché il trasferimento della garanzia sulle somme incassate, in assenza della contestuale previsione della facoltà in capo alla banca di disporre di tali somme uti dominus, non risulta idonea a trasformare il pegno – originariamente regolare – in irregolare per il solo fatto che la garanzia si sia trasferita su di una somma di denaro, bene che, di per sé, sarebbe fungibile.

Al riguardo, la Corte ha anche richiamato la previsione, contenuta nelle condizioni generali di contratto, relativa all’esclusione, in caso di estensione e di trasferimento della garanzia, di ogni effetto novativo. Invero, l’effetto realizzatosi in conseguenza della scadenza del titolo – vale a dire la sostituzione dello strumento finanziario dematerializzato con una somma di denaro – può essere pienamente ricondotto al fenomeno della surrogazione reale, ossia ad una mera modifica senza effetti novativi dell’oggetto della garanzia, e non già al trasferimento della titolarità, in favore del creditore pignoratizio, del relativo bene, quand’anche divenuto fungibile.

Ancora, nel disciplinare il patto di rotatività le parti avevano contrattualmente previsto, da un lato, il conferimento alla banca dell’autorizzazione a reimpiegare le somme riscosse alla scadenza dei titoli vincolati per l’acquisto di altrettanti titoli di quantità e di durata pari a quelli scaduti e, così, di seguìto ad ogni successiva scadenza; dall’altro, il trasferimento del vincolo, senza effetti novativi, sui titoli, strumenti finanziari e valori acquisiti in seguito alla estinzione e/o alla alienazione dei titoli scaduto e/o alienati.

Di qui, la conclusione per cui dalla natura regolare della garanzia pignoratizia doveva conseguire che, non essendo i beni costituiti in pegno mai usciti dalla titolarità del debitore-indagato, gli stessi potessero essere sottoposti a vincolo cautelare reale di cui il predetto era destinatario, senza che venissero in rilievo diritti di proprietà di terzi.