Nessun collegamento tra azione revocatoria e azione di responsabilità contro il liquidatore

Di Maurizio MEOLI

La Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 2906, depositata ieri, conferma che il curatore fallimentare ha legittimazione attiva unitaria, in sede penale come in sede civile, all’esercizio di qualsiasi azione di responsabilità sia ammessa contro gli amministratori di qualsiasi società, anche per i fatti di bancarotta preferenziale commessi mediante pagamenti eseguiti in violazione del principio della par condicio creditorum (cfr. Cass. SS.UU. n. 1641/2017).

Non è affatto corretto, quindi, ritenere che il pagamento preferenziale possa recare danno solo ai singoli creditori rimasti insoddisfatti, ma non alla società, in ragione della neutralità dell’operazione per il patrimonio sociale (che vede diminuire l’attivo in misura esattamente corrispondente alla riduzione del passivo conseguente all’estinzione del debito). Il pagamento preferenziale in una situazione di dissesto, infatti, può comportare una riduzione del patrimonio sociale in misura anche di molto superiore a quella che si determinerebbe operando nel rispetto del principio del pari concorso dei creditori. Ciò in quanto la destinazione del patrimonio sociale alla garanzia dei creditori va considerata nella prospettiva della prevedibile procedura concorsuale e, quindi, della relativa “falcidia”.

Tanto è vero che, in tema di azione revocatoria fallimentare, non è richiesto l’accertamento di una effettiva incidenza dell’atto che ne è oggetto sulla par condicio creditorum. E ciò, se, da un lato, rende evidente come la funzione dell’azione revocatoria fallimentare sia solo quella di ricondurre al concorso chi se ne sia sottratto, dall’altro, esclude che un’effettiva lesione della par condicio creditorum possa presentare rilievo ai fini dell’interesse ad agire. L’interesse del curatore ad agire ha natura procedimentale (in quanto teso ad attuare il pari concorso dei creditori) e va accertato con riferimento al momento di proposizione della domanda, fondandosi sul già dichiarato stato di insolvenza e non sui prevedibili esiti della procedura (cfr. Cass. nn. 23430/2012 e 17524/2004).
E anche dal punto di vista strettamente contabile il pagamento di un creditore in misura superiore a quella che otterrebbe in sede concorsuale comporta “per la massa” dei creditori una minore disponibilità patrimoniale.

È vero che, in ambito penalistico, nel caso di pagamento di crediti privilegiati da parte del fallito, la bancarotta preferenziale è configurabile solo in presenza di altri crediti con privilegio di grado prevalente o uguale rimasti insoddisfatti per effetto dei pagamenti in questione (cfr. Cass. n. 15712/2014), ma anche in tale contesto la legittimazione del curatore a costituirsi parte civile va accertata con riferimento al momento della presentazione della domanda, attenendo alla sua ammissibilità, non al suo fondamento. E infatti, ai fini dell’ammissibilità della costituzione di parte civile rileva esclusivamente la legitimatio ad causam e non anche la persistenza di un danno risarcibile, la cui valutazione attiene al merito dell’azione e non alla legittimazione a stare in giudizio (cfr. Cass. n. 40288/2007).

E allora, il curatore può agire per ottenere il risarcimento dei danni cagionati dal fallito che, prima o durante la procedura fallimentare, esegua pagamenti allo scopo di favorire taluni creditori a danno di altri, essendo anche tale domanda da ricondurre tra le “azioni di massa”.

Si evidenzia, altresì, come non abbia alcun fondamento l’assunto secondo il quale la non revocabilità ex art. 67 del RD 267/1942 dei pagamenti renderebbe questi anche leciti e “non preferenziali”.

L’azione revocatoria fallimentare risponde allo scopo di recuperare al concorso taluni creditori che ne siano stati indebitamente sottratti, contestualmente alle somme a questi corrisposte in violazione della par condicio creditorum. L’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore o del liquidatore per pagamenti preferenziali può condurre a un risultato pratico equivalente, dal punto di vista della massa dei creditori, ma, oltre ad avere direzione soggettiva evidentemente diversa, raggiunge questo risultato sulla base di presupposti e di un fondamento logico-giuridico totalmente diversi (la violazione dei doveri gravanti su tali soggetti ovvero della regola generale del neminem laedere). Di conseguenza, non è possibile affermare un collegamento tra le due azioni in forza del quale la non esperibilità dell’una escluda l’esercizio dell’altra.

L’esenzione dalla revocatoria fallimentare esclude che il rimedio alla lesione della regola della par condicio possa avvenire nei confronti e ai danni del creditore preferito per ragioni legate alle causali del pagamento ovvero alla qualità soggettiva del creditore (ad esempio, ex art. 67 comma 3 lett. f) del RD 267/1942, non sono soggetti ad azione revocatoria i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti e altri collaboratori del fallito), ma non esclude, di per sé, che il pagamento resti preferenziale e leda le ragioni degli altri creditori; e, pertanto, non può precludere l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti degli organi della società che quei pagamenti abbiano effettuato in violazione dei doveri su di essi gravanti ovvero con dolo o colpa grave.