Anche eventuali premi devono essere previsti dallo statuto o dall’assemblea

Di Maurizio MEOLI

Il CdA non è libero di erogare premi all’amministratore delegato perché la nozione di compensi di cui all’art. 2389 comma 1 c.c. deve essere intesa in senso ampio, per cui occorre che lo statuto o l’assemblea ne abbia quanto meno precisato le modalità di determinazione. Il CdA neppure può riconoscere all’amministratore delegato i compensi ex art. 2389 comma 3 c.c., dal momento che tale posizione non rientra tra le “particolari cariche” ivi contemplate.

A sancire tali importanti principi è il Tribunale di Roma, nella sentenza dell’8 giugno 2020, relativa ad una vicenda già esaminata dal medesimo Tribunale nella sentenza n. 10212 del 2019. Mentre in quest’ultima decisione, però, la causa verteva sulla responsabilità dei componenti del CdA (e del comitato compensi) per l’illegittima erogazione in favore dell’amministratore delegato, l’intervento più recente attiene alla richiesta, nei confronti di quest’ultimo, di restituire quanto indebitamente ricevuto ex art. 2033 c.c. (indebito oggettivo).

Ai sensi dell’art. 2389 c.c., si ricorda, “i compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti all’atto della nomina o dall’assemblea. Essi possono essere costituiti in tutto o in parte da partecipazioni agli utili o dall’attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione.
La rimunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto è stabilita dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale. Se lo statuto lo prevede, l’assemblea può determinare un importo complessivo per la remunerazione di tutti gli amministratori, inclusi quelli investiti di particolari cariche”.

A supporto dell’accoglimento della richiesta di restituzione, i giudici romani osservano, in primo luogo, come l’art. 2389 comma 1 c.c. escluda che il compenso spettante agli amministratori possa essere determinato dai medesimi, neppure in forza di una clausola statutaria che demandi loro tale compito. La competenza dello statuto o dell’assemblea al riguardo, infatti, è inderogabile e, in assenza di determinazione, l’amministratore non può fare altro che rivolgersi al giudice.

Al termine “compensi”, inoltre, deve essere data una interpretazione ampia, comprensiva di eventuali trattamenti premiali (“in funzione dell’impegno profuso e degli assai significativi risultati raggiunti”) che, di conseguenza, dovrebbero essere riconosciuti dallo statuto o da una delibera assembleare quanto meno nelle modalità di relativa determinazione (secondo la sentenza del 2019, invece, il premio potrebbe essere deciso dal CdA, ma solo con una scelta razionalmente giustificata, tale da escludere un immotivato arricchimento).

Né, nella specie, era possibile ritenere che ci si trovasse in presenza di compensi riconosciuti in qualità di amministratore investito di “particolari cariche” ex art. 2389 comma 3 c.c. Ciò sia perché, nel caso concreto, non vi era stata alcuna indicazione che potesse far pensare al ricorso a tale previsione, sia perché, in ogni caso, la richiamata disposizione non è ritenuta riferibile all’amministratore delegato. Essa, infatti, farebbe riferimento solo ad attività estranee al rapporto di amministrazione e al contenuto delle prestazioni richieste all’amministratore delegato (cfr. Cass. n. 11023/2000, Cass. n. 2861/2002 e Cass. n. 28148/2018, peraltro, contraddette da Cass. n. 11235/2015, in cui si è sottolineata la necessità di non confondere le “particolari cariche”, che vanno ricondotte all’attività amministrativa, con gli incarichi aggiuntivi, diversi dall’attività amministrativa).

Con ciò, peraltro, non si intende negare la possibilità di riconoscere all’amministratore delegato un compenso diverso e maggiore rispetto a quello di altri componenti del CdA (“discriminando”, in relazione al compenso, tra le posizioni dei diversi amministratori), ma solo evidenziare come ciò possa avvenire solo nell’ambito della determinazione del compenso da parte dello statuto o dell’assemblea e non già per il tramite di una (inesistente) “particolare carica”, sostanzialmente implicita nello svolgimento delle funzioni di amministratore delegato. D’altra parte, proseguono i giudici romani, ragionando diversamene sarebbe del tutto elusa la disciplina di cui all’art. 2389 comma 3 c.c. (anche in ragione della pluralità di deleghe conferibili ai diversi componenti del CdA), tanto più se si considera come, ai sensi della disposizione in questione, è demandata al CdA la competenza a deliberare sia sull’an che sul quantum del corrispettivo relativo ai particolari incarichi.

La delibera con la quale il CdA determina i compensi (premi inclusi) dell’amministratore delegato, quindi, è illegittima. In particolare, traducendosi in una alterazione delle competenze riconosciute da norme imperative, che regolano la distribuzione delle funzioni tra organi sociali, la delibera è del tutto improduttiva di effetti nei confronti della società e inidonea a vincolarla nei confronti dell’amministratore.

Tale delibera, di conseguenza, in quanto del tutto inefficace nei confronti della società, da un lato, è sempre opponibile dalla stessa, e, dall’altro, non necessita di apposita impugnazione – tesa a farne accertare la nullità o, in generale, l’annullabilità – ai fini dell’utile esperimento dell’azione restitutoria di indebito oggettivo.