Il Tribunale di Napoli Nord chiarisce le ragioni alla base della praticabilità della revocatoria rispetto alle operazioni di scissione

Di Maurizio MEOLI

La sentenza del Tribunale di Napoli Nord del 16 novembre 2020, pur collocandosi nell’alveo della ricostruzione prevalente, secondo la quale è possibile l’azione revocatoria della scissione, appare sicuramente da segnalare per l’accuratezza del percorso motivazione.
L’analisi preliminare si basa su due problematiche: la natura giuridica della scissione societaria e il rapporto di complementarità (ovvero di incompatibilità) tra azione revocatoria e strumenti di tutela dei creditori sociali ex artt. 2506 e ss. c.c.

Quanto alla prima, si osserva come la scissione integri una fattispecie a formazione progressiva nel cui ambito sono compiuti due negozi giuridici autonomi e collegati: il primo, diretto alla modifica del contratto di società, giuridicamente riferibile ai soci; il secondo, rappresentato dall’atto di assegnazione degli elementi patrimoniali alla società beneficiaria, che è propriamente un atto di gestione della società. Si ravvisa, quindi, nella scissione una fattispecie composta dalla delibera dei soci e dall’atto di scissione, compiuto dagli amministratori, che, essendo negozi autonomi e collegati, determinano effetti modificativi sul piano della struttura organizzativa e patrimoniale della medesima società, con la divisione, il “frazionamento”, delle partecipazioni dei singoli soci e dei beni della medesima società.

Quanto alla seconda, si osserva come, sul piano della struttura e della natura, l’azione revocatoria esercitata dalla curatela, ex artt. 66 del RD 267/1942 e 2901 c.c., sia un’azione in favore della massa dei creditori. Con la sentenza dichiarativa di fallimento si spoglia il creditore di un suo diritto in favore del ceto creditorio, con la conseguenza che il ricavato della liquidazione del bene andrà a vantaggio di tutti i creditori. Sul piano della funzione, invece, si ritiene che, in ambito fallimentare, l’azione revocatoria svolga una mansione marcatamente riparatoria-sanzionatoria, oltre che di reintegra; la revocatoria, cioè, avrebbe la tipica funzione di sanzione civile indiretta, strumentale alla tutela contestuale di interessi pubblici e privati.

Tale funzione dell’azione revocatoria rappresenta il fondamento teorico della sua complementarità rispetto ai rimedi di tutela, preventiva e successiva, dei creditori previsti dalla normativa in tema di scissione societaria – in particolare dagli artt. 25032504-quater e 2506-quater comma 3 c.c. – che hanno esclusivamente la funzione di prevenire un pregiudizio e reintegrare i creditori delle loro ragioni economiche. La differenza sul piano funzionale dei rimedi in esame, quindi, ne giustifica la possibilità di relativa applicazione.

D’altra parte, prosegue il giudice napoletano, l’azione revocatoria è ammissibile anche ove diretta contro un atto di scissione (ovvero, più correttamente, contro gli effetti patrimoniali scaturenti dall’atto di scissione) proprio perché mediante tale azione non si mira a ricostituire l’assetto societario preesistente all’atto di scissione, ma solo alla reintegrazione della garanzia patrimoniale del debitore inciso da tale operazione tramite la declaratoria di inefficacia dei “trasferimenti” patrimoniali scaturiti dalla stessa.

L’azione revocatoria, inoltre, è ben differente dall’opposizione dei creditori ex art. 2503 c.c. Ed infatti, l’opposizione preclude il perfezionamento dell’intera operazione di scissione, concerne i casi di “invalidità” della procedura (ovvero di potenziale ed eventuale pregiudizio per le ragioni economiche dei creditori) e tutela i soli creditori anteriori all’operazione, mentre la revocatoria rende “inefficace” l’operazione ex post (potendo mirare al solo atto di assegnazione patrimoniale, senza intaccare la nuova organizzazione societaria), sanziona e neutralizza gli effetti di atti illeciti e tutela anche i creditori posteriori. Analogamente, si rinvengono differenze tra danno “revocatorio” e danno ex art. 2504-quater c.c.: il primo (indiretto) deriva dalla lesione della garanzia patrimoniale, il secondo (diretto) deriva dalla lesione del patrimonio del creditore. Inoltre, anche l’art. 2504-quater c.c. ricollega l’azione risarcitoria ad operazioni invalide, mentre l’azione revocatoria ha una funzione di tipo riparatorio-sanzionatorio, rappresentando una sanzione civile indiretta rispetto a un atto che presenta i connotati del fatto illecito.

Un’ulteriore differenza, poi, attiene, anche in tal caso, al più ampio spettro di creditori tutelati. L’azione revocatoria, infatti, diversamente dalla previsione di cui all’art. 2504-quater c.c., non è limitata ai soli creditori anteriori alla scissione (con diritto di agire esecutivamente sui beni subordinato alla preventiva escussione o richiesta negativa nei confronti della società scissa), ma si pone come rimedio strumentale alla tutela di tutti i creditori concorrenti nel fallimento, sia anteriori che successivi all’atto impugnato.

È da considerare, infine, che, in determinati contesti, il legislatore ha già avvertito l’esigenza di perseguire, relativamente alle operazioni di scissione societaria, finalità sanzionatorie, predisponendo misure peculiari proprio in ragione dell’insufficienza dei rimedi contemplati dagli artt. 2506 e ss. c.c.
Si pensi, in particolare, alla responsabilità illimitata delle società beneficiarie sancita dagli artt. 15 comma 2 del DLgs. 472/1997 e 30 comma 2 del DLgs. 231/2001; casi ai quali è da affiancare l’azione revocatoria in questione, nella sua funzione riparatoria e sanzionatoria.