Possono essere un parametro per capire se un contegno omissivo abbia dimensione solo colposa o sia assurto al rango di partecipazione dolosa

Di Roberto FRASCINELLI e Maurizio RIVERDITI

La recentissima pubblicazione delle “nuove” Norme di comportamento del Collegio sindacale di società non quotate approvate dal CNDCEC richiama l’attenzione sul ruolo e sulla rilevanza che tali importanti indicazioni di principio assumono anche in chiave penalistica.

Come già per la versione del 2015, anche per quella pubblicata il 18 dicembre 2020 si chiarisce, in premessa, che “si tratta di norme di deontologia professionale … emanate in conformità a quanto disposto nel vigente Codice Deontologico della professione, che, in quanto tali, vanno declinate tenendo in considerazione il caso concreto”. Dunque, inserendosi nel solco dell’art. 8.6 del vigente Codice deontologico degli iscritti all’Albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, le Norme contribuiscono a comporre i criteri generali che, regolandone l’attività, da un lato sono destinate a guidare le valutazioni rimesse al Consiglio nazionale in materia disciplinare (art. 49 del DLgs. 139/2005) e, dall’altro, forniscono indicazioni importanti per definire il paradigma della diligenza professionale ai fini dell’art. 1176 c.c.

Sul versante penalistico, ciò significa che le Norme di comportamento possono assumere un ruolo decisivo sia per delineare il contenuto degli obblighi incombenti sui membri del Collegio sindacale e del conseguente dovere impeditivo rilevante ex art. 40 comma 2 c.p., sia per valutare se l’eventuale inadempimento possa essere ascrivibile al professionista in termini di dolo o di (mera) colpa, eventualmente sfuggente alla lente del giudice penale.

Per quanto concerne l’individuazione del dovere impeditivo, infatti, le Norme di comportamento non solo chiariscono le modalità con cui il sindaco può calare nel concreto gli obblighi sanciti dal codice civile (obblighi da cui la giurisprudenza è solita ricavare il presupposto della responsabilità per l’omesso impedimento dei reati posti in essere dagli amministratori) ma anche definiscono il contenuto di tali obblighi e, di conseguenza, i contorni ed i limiti delle responsabilità che ne derivano. Significativa, al riguardo, è l’evoluzione giurisprudenziale che ha condotto alla reciproca definizione delle competenze (e delle connesse responsabilità) del collegio sindacale e del revisore legale (si veda, per tutte, la “storica” sentenza del Trib. Torino, Sez. GIP n. 1801 del 26 gennaio 2015 sul caso Fondiaria Sai).

Sul fronte della colpevolezza, le Norme di comportamento costituiscono uno strumento fondamentale per ricostruire l’atteggiamento soggettivo con cui il singolo professionista si è confrontato con gli obblighi di sua competenza. A questo riguardo, poiché per affermare la responsabilità del sindaco (per mancato impedimento del reato contestato, in primis, agli amministratori) non basta che nel caso concreto vi siano stati “segnali peculiari in relazione all’evento illecito”, ma occorre “dare dimostrazione che quei segnali siano stati colti nel loro compiuto significato descrittivo dal garante” (Cass. 5 settembre 2013 n. 36399; nonché, ancora, Trib. Torino n. 1801/2015 citato), le Norme di comportamento possono fornire un parametro di valutazione per comprendere se il contegno (omissivo) del sindaco sia rimasto nell’alveo della dimensione meramente colposa (di per sé potenzialmente irrilevante in ambito penale, considerato che la quasi totalità dei reati che interessano l’attività del Collegio sindacale ha natura esclusivamente dolosa), oppure sia assurto al rango della partecipazione dolosa.

Secondo l’insegnamento della Suprema Corte, infatti (cfr. Cass. SS.UU. 18 settembre 2014 n. 38343), un indice sintomatico del dolo può essere desunto dalla “lontananza della condotta tenuta da quella doverosa”, oltre che dal “contesto lecito o illecito” in cui la stessa si è inserita. Sicché, anche nel caso in cui siano rintracciabili segnali oggettivamente perspicui e peculiari in relazione all’evento illecito, la possibilità di dimostrare che il professionista ha ritenuto (ragionevolmente, pur se errando) di attenersi alle indicazioni fornite dalle Norme di comportamento costituisce un argomento fondamentale per escluderne la responsabilità dolosa.

In definitiva l’adesione ai principi desumibili dalle Norme di comportamento, oltre a costituire un fatto culturale rilevante sul piano deontologico e su quello civilistico, rappresenta una buona difesa per arginare (anche) le contestazioni di natura penale.