La Cassazione precisa l’applicabilità della fattispecie di dichiarazione infedele

Di Maurizio MEOLI

Il reato di dichiarazione infedele (art. 4 del DLgs. 74/2000) può essere integrato anche dalla presentazione della dichiarazione dei redditi in nome di una società di persone; in tal caso, ai fini del superamento della soglia di punibilità correlata all’imposta evasa, occorre avere riguardo al reddito dei singoli soci.
Ad affermarlo, da quanto ci consta, per la prima volta, è la Cassazione, nella sentenza n. 31195/2020.

Il tema è dibattuto fin dall’entrata in vigore del DLgs. 74/2000. Secondo una prima ricostruzione, l’evasione delle imposte sui redditi nelle società di persone, non essendo indicata nessuna imposta sui redditi nelle relative dichiarazioni, potrebbe rilevare penalmente soltanto in relazione alla posizione fiscale dei singoli soci – con eventuale concorso degli amministratori – che non dichiarino (o non dichiarino fedelmente) il reddito di partecipazione. Solo se la quota attribuita ai soci (eventualmente insieme ad altri redditi non dichiarati) è superiore alle soglie, potrà ritenersi perfezionato in capo a essi il delitto in questione. Tale ricostruzione trova la barriera delle nozioni di “dichiarazioni”, di “fine di evadere le imposte” e di “fine di sottrarsi al pagamento”, di cui all’art. 1 lett. c) ed e) del DLgs. 74/2000, riferite alle società, sia di capitali che di persone (cfr. Cass. nn. 19228/2019 e 50201/2015).

Occorre, quindi, guardare alla società, ma resta incerto come procedere ai fini del computo della soglia di punibilità correlata all’imposta evasa. O si considera esclusivamente la società, seppure la stessa non subisca in concreto una tassazione; tale soluzione non è però in linea con il principio di trasparenza. O si imputa tutto a chi amministra (come sembra aver fatto Cass. n. 19228/2019). O si guarda al reddito sottratto dalla società nel suo complesso ma avendo riguardo all’imposta evasa dai singoli soci. Vale a dire che l’imposta dichiarata sarebbe quella risultante dalla sommatoria dell’imposta dichiarata dai singoli soci, mentre quella effettivamente dovuta sarebbe costituita dalla somma dell’imposta dovuta dai soci, sulla base delle aliquote marginali di ciascuno, in conseguenza della rideterminazione e ridistribuzione tra loro del maggior reddito della società. Anche tali ultime ricostruzioni destano perplessità: perché il superamento della soglia di punibilità viene a dipendere dalla situazione contingente della compagine sociale e perché appare difficile ravvisare il dolo di evasione in capo a chi presenti la dichiarazione non conoscendo (necessariamente) la situazione reddituale degli altri soci.

Ad ogni modo, l’ultima soluzione ricordata è quella cui pare aderire la decisione in commento. Si sottolinea, infatti, come l’art. 1 comma 1 del DLgs. 74/2000, nell’elencare le definizioni qualificanti la disciplina dei reati tributari, preveda, alla lett. c), che per “dichiarazioni” si intendono anche le dichiarazioni presentate in qualità di amministratore, liquidatore o rappresentante di società nei casi previsti dalla legge, e, alla lett. f), che per “imposta evasa” si intende la differenza tra l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione. Queste previsioni implicano, anche esplicitamente, un rinvio alla legislazione tributaria.

In particolare, ai sensi dell’art. 6 del DPR 600/1973, le società di persone sono tenute a presentare la dichiarazione agli effetti dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche dovute dai soci. Tale dichiarazione, ex art. 1 del DPR 322/1998, deve essere sottoscritta dal legale rappresentante dell’ente o, in mancanza, da chi ne ha l’amministrazione anche di fatto. In ragione dell’art. 40 comma 2 del DPR 600/1973, inoltre, alla rettifica delle dichiarazioni presentate dalle suddette società, conseguente agli accertamenti delle autorità preposte, si procede con unico atto ai fini dell’imposta locale sui redditi (abrogata) dovuta dalle società stesse e ai fini delle imposte sul reddito delle persone fisiche dovute dai singoli soci. Per effetto dell’art. 5 del TUIR, infine, i redditi delle società di persone residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili.

Le società di persone sono, quindi, tenute a presentare le dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi, ma il risultato di esercizio deve essere imputato direttamente ai singoli soci, in base alla quota di partecipazione. Di conseguenza, il reato di cui all’art. 4 del DLgs. 74/2000 può essere integrato anche mediante la presentazione della dichiarazione in nome della società, ma, in tal caso, l’imposta sui redditi evasa deve essere calcolata avendo riguardo al reddito dei singoli soci. Circostanza non necessariamente favorevole rispetto al computo riferito alla società, dal momento che, ove questi abbiano anche altri redditi, l’imposta evasa, in ragione della progressività delle aliquote, potrebbe essere persino maggiore di quella calcolata avendo riguardo al solo risultato di esercizio dell’impresa.

La Cassazione, infine, sottolinea altresì la rilevanza del dato di fatto rispetto a quello formale, evidenziando come, ove il reddito da partecipazione non dichiarato sia imputato ad un unico socio, quale unico effettivo dominus della società, è alla posizione di questo che occorre avere riguardo.