Non è possibile limitarsi a precisare che non si tratterebbe di costi della gestione tipica

Di Maurizio MEOLI

È nullo il bilancio di una società consortile per azioni che – recando nel proprio statuto l’obbligo dei soci di ricoprire i costi di gestione ed eventuali disavanzi, mediante un meccanismo di riaddebito – evidenzi, diversamente dai precedenti, tutti chiusi in pareggio, una situazione di grave perdita genericamente riferita, in Nota integrativa, a costi (svalutazione crediti commerciali e accantonamento a fondo rischi) non ripartiti perché ritenuti non afferenti alla autentica ragione mutualistica e al contesto della gestione tipica.
In presenza di opposizione ex art. 2500-novies c.c., inoltre, è inefficace la delibera con cui la suddetta società consortile si trasformi in srl, con eliminazione della finalità mutualistica e rimozione della clausola di contribuzione a carico dei soci, determinandosi un pregiudizio irreversibile in capo ai creditori.
Ad affermarlo è il Tribunale di Napoli nella sentenza n. 5645, dell’8 settembre scorso.

Il caso di specie, in estrema sintesi, riguarda una società consortile per azioni che, nel proprio statuto, recava una specifica clausola che faceva ricadere sulle imprese associate i costi fissi e di gestione e che le impegnava a ripianare eventuali avanzi di gestione. Ne conseguiva la chiusura in pareggio dei primi esercizi. In un’assemblea del marzo 2018, invece, veniva approvato all’unanimità il bilancio al 31 dicembre 2016 che evidenziava un’ingente perdita, genericamente ascritta in Nota integrativa a oneri “diversi da quelli sorti per effetto dell’autentica ragione mutualistica e nel contesto della gestione tipica”. Contestualmente, inoltre, sempre all’unanimità, si trasformava la società consortile per azioni in srl.

Contro tali decisioni si attivava una banca creditrice, deducendo la nullità del bilancio per violazione dei principi di verità e chiarezza, dipendendo la perdita, sostanzialmente, da due voci (svalutazioni crediti e accantonamento fondo rischi) indebitamente considerate come non riconducibili ai costi della gestione tipica della società consortile. Veniva, inoltre, presentata opposizione alla trasformazione ex art. 2500-novies c.c.
I giudici napoletani accolgono le domande della banca.

Quanto alla nullità del bilancio, dopo aver premesso come, in un contesto come quello esaminato, sottrarsi all’obbligo di contribuzione significhi non raggiungere l’obiettivo del pareggio di bilancio e cancellare lo scopo mutualistico della compagine consortile in oggetto, si sottolinea come sia la voce “svalutazione crediti commerciali” che quella “accantonamento fondo rischi” siano da ricomprendere tra i costi della gestione tipica della società consortile. Per cui la correlata perdita di bilancio è frutto di una palese violazione della previsione statutaria, priva di adeguata informazione in Nota integrativa e integrante una violazione del principio di chiarezza – dotato di autonoma valenza e dettato per garantire anche la più ampia trasparenza dei dati – e di verità del bilancio contestato, determinandone la nullità.

Si osserva, peraltro, come, per la redazione del bilancio di esercizio, debba tenersi conto anche dei principi contabili nazionali, elaborati dall’OIC, e dei principi contabili internazionali IAS/IFRS, elaborati dallo IASB, i quali svolgono una funzione integrativa e interpretativa della disciplina del bilancio prevista dagli artt. 2423 e ss. c.c. Questa esigenza nasce, da un lato, dalla circostanza che le norme civilistiche sono una rielaborazione delle regole contabili; dall’altro, dalla espressa previsione di cui all’art. 2423 comma 5 c.c., che consente a chi redige il bilancio di disapplicare le disposizioni legislative in casi eccezionali, qualora il rispetto delle regole civilistiche conduca a una rappresentazione non veritiera e corretta della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato di esercizio della società (cfr. Trib. Prato 14 settembre 2012).

Quanto all’opposizione alla trasformazione in srl, si osserva come non vi sia dubbio sul fatto che il creditore possa lamentare una consistente riduzione delle legittime aspettative di soddisfazione delle proprie ragioni a causa del mutamento delle regole di governo e amministrazione o di salvaguardia del patrimonio che caratterizzano la forma organizzativa di arrivo rispetto a quella che l’ente presentava al momento della concessione del credito.

Rispetto a ciò, il regime dell’opposizione è ritenuto operativo anche in caso di trasformazione di società lucrativa in società consortile, o viceversa, a prescindere dal mutamento del tipo sociale, ovvero a prescindere dalla modificazione di quello che è il codice organizzativo dell’ente. In questo caso, infatti, la diversa finalità di gestione del patrimonio sociale potrebbe tradursi in un aggravamento delle condizioni di rischio del credito, da provarsi, caso per caso, a cura del creditore opponente.

Ciò è proprio quanto accadeva nel caso di specie, in cui la banca opponente dimostrava quanto il venir meno dell’obbligo di contribuzione dei soci finisse per influire sulla consistenza patrimoniale della società consortile, scaricando sui creditori  i rischi connessi alla cattiva gestione societaria, senza più il “salvagente” costituito dal ribaltamento dei costi sui soci come in origine previsto da specifica previsione statutaria.