Le somme non hanno ancora natura illecita poiché la sottrazione si consuma solo al termine di presentazione della dichiarazione dei redditi

Di Maria Francesca ARTUSI

Il delitto di riciclaggio non è configurabile nelle attività di sostituzione di somme sottratte al pagamento delle imposte mediante delitti in materia di dichiarazione se il termine di presentazione della dichiarazione non è ancora decorso e la stessa non è ancora stata presentata.
Tale principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 30889 depositata ieri.

È stata, così, esclusa la responsabilità nei confronti di un soggetto che avendo sostituito l’importo di assegni dati in pagamento ad un legale per la sua attività da clienti del medesimo e mai dichiarati ai fini fiscali, è intervenuto a compiere detta operazione prima della scadenza dell’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte del legale medesimo (cioè, prima che quest’ultimo perfezionasse il delitto di dichiarazione fraudolenta ai sensi dell’art. 3 del DLgs. 74/2000).

Va ricordato, infatti, che la dichiarazione fiscale accompagnata da fatture o documenti falsi ovvero altri artifici assume penale rilevanza solo al momento della presentazione della stessa.
D’altra parte, il presupposto normativo del riciclaggio è sempre costituito dalla necessità che la condotta dell’agente sia posta in essere su beni o denaro provento di precedente delitto. La Cassazione ribadisce che il legislatore ha inteso, così, colpire ogni vantaggio derivante dal compimento del reato presupposto, tant’è che ha adoperato la locuzione “altre utilità” come una sorta di clausola di chiusura rispetto al “denaro e beni”, proprio per evitare che potessero sfuggire dalle maglie della repressione penale dei vantaggi (qualunque essi fossero) derivanti dal reato presupposto e dei quali l’agente, grazie all’attività di riciclaggio posto in essere da un terzo, potesse usufruire.

In altri termini, la locuzione “altre utilità” è talmente ampia che in essa devono farsi rientrare tutte quelle utilità che abbiano, per l’agente che ha commesso il reato presupposto, un valore economicamente apprezzabile. Si tratta, cioè, non solo di quegli elementi che incrementano il patrimonio dell’agente ma anche di tutto ciò che costituisca il frutto di quelle attività fraudolente a seguito delle quali si impedisce che il patrimonio s’impoverisca: il che è quanto accade quando viene perpetrato un reato fiscale a seguito del quale il contribuente, evitando di pagare le imposte dovute, consegue un risparmio di spesa che si traduce, in pratica, in un mancato decremento del patrimonio e, quindi, in una evidente utilità di natura economica.

Se dunque, alla luce di tali principi, un reato tributario ben può costituire il presupposto per una condotta di riciclaggio, tuttavia resta elemento imprescindibile per la configurabilità della fattispecie di cui all’art. 648-bis c.p. quello della precedente consumazione di quel delitto.

In proposito, i giudici di legittimità ricordano l’insegnamento delle Sezioni Unite all’indomani dell’entrata in vigore del DLgs. 74/2000 (Cass. SS.UU. n. 27/2000). La violazione dell’obbligo di veritiera prospettazione della situazione reddituale e delle basi imponibili rimane uno degli “assi portanti” del sistema punitivo penal-tributario: la dichiarazione annuale “fraudolenta” che, caratterizzata da un particolare “coefficiente di insidiosità” in quanto supportata da un impianto contabile o documentale per operazioni inesistenti, costituisce dunque la fattispecie commissiva ontologicamente più grave. Tale delitto, di tipo commissivo e di mera condotta, seppure teleologicamente diretto al risultato dell’evasione d’imposta, ha natura istantanea e si consuma con la presentazione della dichiarazione annuale, non rilevando le dichiarazioni periodiche e quelle relative ad imposte diverse. Con la conseguenza che il comportamento di utilizzazione dei documenti falsi o degli altri artifici si configura come “ante factum” meramente strumentale e prodromico per la realizzazione dell’illecito, e perciò non punibile.

Il reato di riciclaggio non è pertanto configurabile, nel caso oggi in commento, perché l’attività di sostituzione degli assegni è avvenuta prima della consumazione del delitto di dichiarazione fraudolenta e, per definizione, il riciclaggio non può essere consumato prima del delitto presupposto poiché, a quel momento, il denaro ricevuto non ha ancora il carattere di illecito profitto di altro fatto rilevante penalmente.

In altre parole, il riciclaggio non può avere ad oggetto somme che al momento della movimentazione non avevano ancora carattere e natura illecita e tali sono le somme sottratte al pagamento dell’obbligo fiscale di versamento delle imposte che si consuma solo al termine di presentazione della dichiarazione dei redditi.