La modifica della L. 205/2017 riguarda solo l’errore di aliquota

Di Alfio CISSELLO

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24289 depositata ieri, ha affermato che il diritto di detrazione non può essere esercitato quando il cedente/prestatore, per errore, ha addebitato l’IVA per un’operazione non imponibile.

Di norma, l’indebita detrazione viene sanzionata, se riguarda la liquidazione periodica, nella misura del 90% dell’imposta ai sensi dell’art. 6 comma 6 del DLgs. 471/97. Ove l’irregolarità venga recepita in dichiarazione, tale sanzione, per effetto del cumulo, viene di fatto assorbita dalla dichiarazione infedele, che prevede una sanzione dal 90% al 180% dell’imposta (art. 1 del DLgs. 471/97).

Questo scenario è stato tradizionalmente applicato anche per l’eventualità in cui il cedente/prestatore applichi per errore l’IVA a operazioni non imponibili, esenti oppure escluse, così come nel caso di errore di aliquota.
Ciò comportava molti problemi inerenti ai rapporti interni tra le parti.
Il cedente/prestatore doveva chiedere il rimborso all’Erario del tributo versato indebitamente, mentre il cessionario/committente, da un lato, non poteva detrarre (e se lo faceva andava incontro a pesanti sanzioni), dall’altro, poteva agire in restituzione nei confronti della controparte, con tutti i problemi che questo avrebbe comportato sul versante dei termini per il rimborso e la restituzione.

Il sistema è mutato grazie alle innovazioni della L. 205/2017, ove al sesto comma dell’art. 6 del DLgs. 471/97 è stato aggiunto un periodo: “in caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli artt. 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633, l’anzidetto cessionario o committente è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro. La restituzione dell’imposta è esclusa qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale”.

Da subito, la norma è stata oggetto di interpretazioni discordanti.
Se è sempre stato pacifico che la novità potesse applicarsi per il classico errore di aliquota, perplessità sono state sollevate per le operazioni esenti, non imponibili ed escluse.
La detrazione con sanzione fissa è stata ammessa dalla circ. Guardia di Finanza 13 aprile 2018 n. 114153, che non ha però menzionato le operazioni escluse.
La giurisprudenza di merito, invece, ha negato la detrazione per le operazioni esenti (C.T. Prov. Milano 3 dicembre 2018 n. 5497/10/18, C.T. II grado Trento 28 febbraio 2019 n. 20/1/19), nonché per quelle escluse (C.T. Reg. Milano 13 settembre 2019 n. 3483/21/19).

Ieri, la Corte di Cassazione, in modo netto, ha sancito che la nuova modifica opera solo per il caso dell’IVA addebitata “per errore” e non per l’IVA “non dovuta”; in sostanza, la sanzione fissa sarà applicata solo per l’errore di aliquota, mentre per le operazioni non imponibili rimarranno tutte le criticità evidenziate. Al cessionario/committente, in primis, sarà irrogata la sanzione da dichiarazione infedele.
Questo principio, di conseguenza, rende irrilevante il problema dell’applicazione retroattiva della L. 205/2017, sancita comunque dal DL 34/2019.
È facile ipotizzare che la medesima soluzione valga per le operazioni esenti e, a maggior ragione, per quelle escluse.

La tesi sostenuta dalla Cassazione è a nostro avviso eccessivamente formalistica e in aperto contrasto con la ratio legis, strumentale a semplificare la procedura di detrazione dell’IVA errata e, nel complesso, a dare certezza alla materia.