Sul punto si sono pronunciati i Tribunali di Roma e di Mantova su ricorso in via cautelare proposto dal lavoratore al quale era stato negato il lavoro agile

Di Viviana CHERCHI

Ieri sera il Consiglio dei Ministri ha approvato la proroga fino al 15 ottobre 2020 dello stato d’emergenza del rischio sanitario connesso all’infezione da COVID-19, dichiarato lo scorso 31 gennaio.
L’estensione dello stato di emergenza comporta, tra i diversi effetti, la prosecuzione dello smart working in modalità semplificata. Sul punto si ricorda, innanzitutto, come lo smart working – quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro disciplinata dagli artt. 18-23 della L. 81/2017 – presupponga, in via generale, il consenso del lavoratore e del datore di lavoro, i quali possono stabilire, tramite accordo scritto, che la prestazione venga resa in parte all’esterno dei locali aziendali e in assenza di particolari vincoli orari o spaziali.

Si ricorda, inoltre, che il DPCM del 1° marzo 2020 ha disposto, per tutta la durata dell’emergenza sanitaria, la possibilità per i datori di lavoro di ricorrere allo smart working a prescindere dalla stipula dell’accordo individuale e dal rispetto delle disposizioni di dettaglio della L. 81/2017, prevedendo altresì modalità telematiche semplificate per le relative comunicazioni obbligatorie all’INAIL.

Sebbene l’utilizzo dello smart working, diventato strumento essenziale di contrasto alla diffusione del virus nei luoghi di lavoro, sia stato raccomandato dai diversi provvedimenti d’urgenza emanati in questi mesi, tale modalità di esecuzione della prestazione lavorativa non può essere pretesa dal dipendente, salvo in alcuni casi specifici.
In particolare, l’art. 39 del DL 18/2020 (c.d. decreto “Cura Italia”), conv. L. 27/2020, ha stabilito il diritto allo svolgimento della prestazione in modalità agile, fino alla cessazione dello stato di emergenza, per i lavoratori con grave disabilità e per quelli immunodepressi o con familiari conviventi gravemente disabili o immunodepressi, a condizione che lo smart working sia compatibile con la mansione. Contemporaneamente, ha previsto una priorità per chi è affetto da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa.

Successivamente, il DL 34/2020 (c.d. decreto “Rilancio”), conv. L. 77/2020, ha, invece, esteso all’art. 90 il diritto al lavoro agile ai dipendenti con figli minori di 14 anni, purché l’altro genitore non sia beneficiario di strumenti di sostegno al reddito, nei casi di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa, o inoccupato. Anche in questo caso il diritto può essere esercitato solo se la modalità agile è compatibile con le caratteristiche della prestazione.

Proprio sul tema delle condizioni ex art. 39 del DL 18/2020 e art. 90 del DL 34/2020 si registrano due interessanti pronunce emesse dal Tribunale di Roma il 20 giugno e dal Tribunale di Mantova il 26 giugno.
Tali decisioni, entrambe disposte all’esito di procedimenti cautelari promossi a fronte del diniego datoriale alla richiesta di fruizione del lavoro in modalità agile, hanno contribuito a chiarire i confini del diritto allo smart working nella fase emergenziale.

Nel caso trattato dal Tribunale di Roma, la dipendente di una ASL con mansioni di assistente socio-sanitaria chiedeva, avendo un figlio disabile in condizioni di gravità, l’attivazione dello smart working ex art. 39 del DL 18/2020. La lavoratrice affermava la compatibilità delle proprie mansioni, incluse quelle a essa assegnate nella task force aziendale costituita per attività di indagine e sorveglianza contro la diffusione del COVID-19, con lo svolgimento della prestazione in modalità agile.
Il giudice capitolino ha accolto il ricorso della lavoratrice dopo aver accertato come le concrete mansioni assegnate nell’ambito della task force – ossia la gestione dei rapporti con l’utenza attraverso forme di contatto e interlocuzione “da remoto” – fossero perfettamente compatibili con lo smart working. Per il giudice, inoltre, lo svolgimento della prestazione in modalità agile avrebbe consentito di tutelare maggiormente sia la salute del figlio disabile, sia quella della lavoratrice senza pregiudicare l’espletamento del servizio pubblico alla stessa assegnato.

Il Tribunale di Mantova ha, invece, rigettato l’istanza di un dipendente di una società che gestisce parcheggi e aree di sosta che aveva richiesto la prestazione in smart working per ragioni di cura genitoriale ex art. 90 del DL 34/2020, in ragione dell’incompatibilità, in concreto, delle mansioni svolte con il lavoro agile.
Più in dettaglio, oltre alla gestione dei parcheggi (dalla fase iniziale della loro progettazione fino alla relativa gestione operativa), il ricorrente ricopriva il ruolo del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
Secondo il giudice, tali mansioni risultavano caratterizzarsi, in misura rilevante, per la necessità della presenza fisica del dipendente. Oltre a ciò, era stato accertato come la moglie del ricorrente svolgesse la propria prestazione lavorativa in smart working presso il proprio domicilio, con conseguente esclusione dei denunciati problemi di accudimento della figlia minore.