Secondo l’Agenzia prevale la natura dei soci, se professionisti iscritti a Cassa

Di Alessandro COTTO

Nuovi chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 22 pubblicata ieri, sulla disciplina del contributo a fondo perduto di cui all’art. 25 del DL 34/2020 che, vale la pena ricordarlo, non ha subito modifiche a seguito della conversione in legge dello stesso decreto.

Un primo profilo che merita di essere evidenziato è l’esclusione dal contributo degli studi associati composti da professionisti iscritti alle Casse di previdenza. Vista la rilevanza della questione, la posizione dell’Agenzia poteva essere ufficializzata già in occasione della circolare n. 15 del 13 giugno 2020, dal momento che il silenzio sul punto era stato interpretato da più parti come la conferma della possibilità per gli studi associati di accedere al contributo (si veda “Contributo a fondo perduto anche per gli studi associati” del 27 maggio 2020).

Nella circolare di ieri, invece, il parere dell’Amministrazione finanziaria risulta chiaro (risposta 2.10): considerato che gli studi associati non hanno una propria autonomia giuridica, ove siano composti da professionisti iscritti alle Casse di previdenza, sono esclusi dal contributo.

Si tratta di un’impostazione non condivisibile in quanto lo studio associato, secondo la consolidata giurisprudenza della Cassazione, pur essendo privo di personalità giuridica, “rientra a pieno titolo nel novero di quei fenomeni di aggregazione di interessi (quali le società personali, le associazioni non riconosciute, i condomini edilizi, i consorzi con attività esterna e i gruppi europei di interesse economico di cui anche i liberi professionisti possono essere membri) cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici” (Cass. 10 aprile 2018 n. 8768).
Quindi non c’è motivo per cui le caratteristiche dei soci debbano incidere sulla possibilità dello studio associato di accedere al contributo.

L’infondatezza della ricostruzione dell’Agenzia delle Entrate risulta ancora più evidente ove si confronti la risposta sugli studi associati (n. 2.10) con la successiva risposta relativa alla possibilità per una società artigiana (sas) con soci professionisti iscritti alla Gestione separata di beneficiare del sussidio.
Secondo l’Agenzia, in tutte le ipotesi in cui i soggetti di cui al comma 2 dell’art. 25 (soggetti esclusi dal contributo) risultano essere soci di una società commerciale, quest’ultima avrà comunque diritto di fruire del contributo a fondo perduto, sussistendone gli ulteriori requisiti.
Al pari dello studio associato, tuttavia la sas non è dotata di autonomia giuridica ed è un centro di imputazione di situazioni giuridiche soggettive. Quindi delle due l’una: o è errata la prima tesi in base alla quale gli studi associati non hanno diritto al contributo o è errata la seconda, in quanto la natura giuridica della sas è, ai fini in esame, assimilabile a quella dello studio associato.

Altro intervento sui presupposti soggettivi che suscita perplessità è quello relativo alle società in liquidazione.
Secondo l’Agenzia, dal momento che l’attività delle imprese in liquidazione è generalmente finalizzata al realizzo delle attività aziendali, in tutte le ipotesi in cui la fase di liquidazione è già stata avviata alla data di dichiarazione dello stato di emergenza (31 gennaio 2020) non sarebbe consentito di fruire del contributo in esame, in quanto l’attività ordinaria risulterebbe interrotta in ragione di eventi diversi da quelli causati dall’emergenza epidemiologica.
Nel caso in cui, invece, la liquidazione sia stata avviata successivamente al 31 gennaio 2020, sarà possibile fruire del contributo, “considerata la ratio legis della disposizione normativa”.

Ora, considerato che per stessa ammissione dell’Agenzia delle Entrate la finalità della norma è quella di compensare, almeno in parte, i gravi effetti economici e finanziari che hanno subito determinate categorie di operatori economici a seguito della pandemia (circ. n. 15/2020), non si comprende per quale ragione chi ha deliberato la liquidazione il 2 dicembre 2019 debba essere penalizzato rispetto a chi vi ha provveduto il 3 febbraio 2020, considerando che la tesi proposta prescinde dalle cause concrete della liquidazione e non tiene conto del fatto che la liquidazione medesima può essere revocata.

Esistono già due significativi limiti diretti a evitare che il contributo vada a imprese senza prospettive di continuità.

Il primo è che l’attività non deve essere cessata alla data di presentazione della domanda (art. 25 comma 2 del DL 34/2020), il secondo è che l’impresa non si doveva trovare già in difficoltà al 31 dicembre 2019 (Comunicazione Commissione europea 29 giugno 2020 n. 4509). Andare oltre a queste condizioni, peraltro introducendo ulteriori riferimenti temporali, è una scelta che andrebbe seriamente riponderata.