Possibile il concorso tra la contravvenzione ex art. 18 della L. 276/2003 e la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti

Di Maria Francesca ARTUSI

Nel caso di utilizzo di fatture rilasciate da una società che ha effettuato interposizione illegale di manodopera, è configurabile sia il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, sia la specifica contravvenzione prevista dall’art. 18 della L. 276/2003, stante la diversità tra il soggetto emettente la fattura e quello che ha fornito la prestazione.
Tale è il principio affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 20901 depositata ieri (già, tra l’altro, sposato da Cass. n. 24540/2013).

In proposito, può essere utile ricordare che l’art. 18 della L. 276/2003 prevede diverse fattispecie penali connesse all’attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale.
Nell’esperienza pratica giudiziale è apparso evidente come tali attività possano dar luogo anche a responsabilità di natura fiscale.
Si pensi alla circostanza in cui il contribuente inquadri un’operazione negoziale all’interno di una tipologia contrattuale che gli consenta di pervenire a un significativo risparmio di imposta, sottacendo che le concrete modalità di svolgimento del rapporto sono differenti e incompatibili rispetto alla disciplina che l’ordinamento riserva al contratto che il contribuente asserisce aver stipulato.

Questo è appunto il caso della pronuncia in commento, in cui al legale rappresentante di una srl veniva contestato di aver indicato nella dichiarazione IVA elementi passivi, previa annotazione nelle scritture contabili, costituiti da fatture emesse da sei società, relative a operazioni giuridicamente inesistenti, atteso che l’attività posta in essere da dette società era riconducibile a un’illecita somministrazione di manodopera, dissimulata da fittizi contratti di appalto e servizi.

In quest’ultima ipotesi, si è in presenza del delitto di cui all’art. 2 del DLgs. 74/2000, giacché le prestazioni asseritamente svolte in esecuzione del contratto mendace sono in effetti inesistenti come sostenuto più volte dalla Cassazione proprio con riferimento a situazioni di interposizione fittizia di manodopera (Cass. n. 46785/2011) e tale divergenza esplica rilevanti effetti sul piano tributario giacché ad esempio l’IVA addebitata sulla parte di imponibile riqualificata come costo del lavoro (anziché come prestazione propria del contratto di appalto) risulta indetraibile, essendo detta componente esclusa dal campo di applicazione dell’imposta.

L’art. 1 lett. a) del DLgs. 74/2000 chiarisce infatti che per “fatture inesistenti” si intendono, tra l’altro, le fatture “che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi”. Si tratta di quei soggetti che, in realtà, non hanno preso parte all’operazione e sono invece indicati nel documento. Tale situazione abbraccia il caso in cui il soggetto che ha emesso il documento non ha però effettuato la prestazione cui il documento medesimo si riferisce, perché si tratta di un soggetto irreale (come nel caso di nomi di fantasia) oppure di un soggetto esistente che, tuttavia, non ha avuto alcun rapporto con il contribuente finale.
In tal modo, infatti, il contribuente fa apparire di avere speso somme in realtà non versate e pone così in essere una lesione del bene giuridico protetto, costituito dal patrimonio erariale.

Sulla base di questa ricostruzione, si è costantemente affermato il principio secondo cui il reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva, ovvero quella relativa alla diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti, mentre, con riguardo all’IVA – ciò che rileva nella vicenda in esame – esso comprende anche la inesistenza soggettiva, ovvero quella relativa alla diversità tra soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in fattura (tra le altre, Cass. n. 27392/2012).

Coerentemente con questa impostazione, viene ancora ribadito che l’indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione, avvalendosi di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, anziché relative a operazioni oggettivamente inesistenti, non incide sulla configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta previsto dal citato art. 2, il quale, nel riferirsi all’uso di fatture o altri documenti concernenti operazioni inesistenti, non distingue tra quelle che sono tali dal punto di vista oggettivo o soggettivo (Cass. nn. 4236/2019 e 30874/2018).