L’art. 80-bis introdotto in sede di conversione fornisce un’interpretazione autentica di una norma in tema di somministrazione irregolare

Di Luca NEGRINI

Il testo della legge di conversione del decreto “Rilancio”, licenziato dalla Camera e passato ora all’esame del Senato, supera le 650 pagine e sembra essere diventato l’occasione per approvare anche norme che nulla hanno a che vedere con il DL 34/2020 e con le misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19.
È il caso dell’art. 80-bis introdotto in sede di conversione, con il quale si fornisce un’interpretazione autentica della seconda parte del comma 3 dell’art. 38 del DLgs. 81/2015, disposizione in forza della quale in caso di somministrazione irregolare tutti gli atti compiuti dal somministratore nella costituzione o nella gestione del rapporto di lavoro, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti o ricevuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione. Secondo l’art. 80-bis tale disposizione si interpreta nel senso che tra gli atti di costituzione e di gestione del rapporto di lavoro non è compreso il licenziamento.

Appare davvero difficile comprendere quale sia il legame tra questa disposizione e le norme contenute nel decreto “Rilancio”, che tra l’altro in tema di licenziamenti si era limitato con l’art. 80 a prorogare a cinque mesi il divieto di licenziamenti per motivi economici già introdotto dall’art. 46 del DL 18/2020, prevedendo inoltre la possibilità di revocare i licenziamenti disposti tra il 23 febbraio ed il 17 marzo 2020. Anche rispetto alla ratio del provvedimento d’urgenza convertito, legata ai riflessi in materia di salute, lavoro ed economia dell’emergenza provocata dal COVID-19, è difficile comprendere quale possa essere il collegamento con l’interpretazione autentica di una norma che, in realtà, è presente nel nostro ordinamento dal 2003 e che la giurisprudenza interpretava in modo diametralmente opposto a quello fatto proprio dal legislatore.

Infatti, un testo sostanzialmente identico a quello contenuto nella seconda parte dell’art. 38 del DLgs. 81/2015 era già presente nell’art. 29 comma 2 del DLgs. 276/2003, salvo che nel precedente decreto Biagi la norma era riferita solo agli atti compiuti dal somministratore e non a quelli ricevuti, differenza che non rileva rispetto al licenziamento. Tale disposizione, applicabile oltre che alla somministrazione irregolare anche in caso di appalto o distacco illeciti, in forza dell’espresso richiamo contenuto negli artt. 29 e 30 del DLgs. 276/2003, secondo la Corte di Cassazione riguardava anche il licenziamento, tanto che con la sentenza n. 17969/2016 si era sancito l’obbligo di impugnare il licenziamento comminato dal somministratore anche nei confronti dell’utilizzatore, in capo a cui l’atto di risoluzione del rapporto di lavoro produceva i suoi effetti.

Ora, invece, non sarà più così, sulla base dell’interpretazione autentica fatta propria dal legislatore, per cui, qualora sia dubbia la legittimità della somministrazione, dell’appalto o del distacco, per chi utilizza concretamente la prestazione di lavoro potrà essere necessario procedere ad un autonomo atto di risoluzione del rapporto, formulato in via condizionata rispetto ad un’eventuale contestazione della genuinità del contratto o dell’atto in forza del quale la prestazione lavorativa viene utilizzata.

Questo almeno fino a quando la disposizione di cui all’art. 80-bis del DL 34/2020, introdotta dalla legge di conversione, non venga sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale e presumibilmente dichiarata incostituzionale. In diverse occasioni, infatti, il giudice delle leggi ha ritenuto che debba esservi una necessaria omogeneità della legge di conversione rispetto al contenuto ed alle finalità del provvedimento d’urgenza, che nel caso di specie sembra mancare del tutto.

Proprio in riferimento all’inserimento di una norma di interpretazione autentica in occasione della conversione di un decreto legge, la Corte Costituzionale con la pronuncia n. 154/2015 ha ritenuto violato l’art. 77 comma 2 Cost. perché la legge di conversione ha lo scopo di stabilizzare un provvedimento avente forza di legge, con un procedimento di approvazione peculiare e semplificato, e non può aprirsi a qualsiasi contenuto. L’eventuale esigenza di dirimere un conflitto interpretativo può essere soddisfatta, sempre secondo la Corte, con il normale esercizio del potere di iniziativa legislativa oppure in un distinto decreto legge, se a giudizio del Governo vi siano autonomi profili di necessità ed urgenza.

Profili che nel caso di specie sembra davvero difficile rinvenire e che rendono ancora più incomprensibile l’iniziativa assunta introducendo l’art. 80-bis in occasione della conversione in legge del decreto Rilancio.