Secondo l’Osservatorio dei commercialisti sono stati bruciati oltre 280 miliardi. Miani: «Subito misure per stimolare la produttività»

Di avino GALLO

Nei primi sei mesi del 2020 le aziende italiane hanno subito un crollo del fatturato di quasi il 20% rispetto all’anno precedente, con una perdita complessiva di oltre 280 miliardi di euro. Consiglio e Fondazione nazionale dei commercialisti, attraverso l’Osservatorio sui bilanci delle srl, hanno provato a quantificare l’impatto dell’emergenza sanitaria e del conseguente lockdown sulle società italiane.

Elaborando i dati forniti dalla banca dati AIDA di Bureau van Dijk, l’Osservatorio ha analizzato circa 830 mila società, che fatturano complessivamente circa 2.700 miliardi di euro, l’89% di tutte le imprese e l’85% circa di tutti gli operatori economici.

Nel solo mese di aprile, unico mese a essere sottoposto interamente agli effetti della fase 1 del lockdown, la perdita di fatturato è stata pari a 93 miliardi di euro (-39,1%). Le simulazioni effettuate dall’Osservatorio non mostrano significative variazioni territoriali. Al Nord-Est viene, comunque, attribuita la perdita maggiore in termini di variazioni percentuali (-21,3%), praticamente sullo stesso livello di quella calcolata per le regioni meridionali (- 21,2%), mentre alle Isole (-17,6%) e al Centro (-18,3%) la perdita è stata più contenuta.

A livello provinciale, invece, le Città più colpite dalla crisi sono state Potenza (-29,1%), Arezzo (-27,2%), Fermo (-26,3%), Chieti (-25,8%) e Prato (-25,3%), tutte con performance peggiori rispetto al dato nazionale. Mentre hanno resistito meglio Siracusa (-13,7%), Cagliari (-13,8%), Roma (-16,1%), Genova (-16,5%) e Trieste (16,7%).

I dati, ovviamente, riflettono anche la diversa struttura produttiva del territorio. In quei territori in cui c’è prevalenza di società che operano nei settori chiusi per decreto, come ad esempio l’intero settore automobilistico, il calo è stato maggiore rispetto a quei territori dove, ad esempio, c’è una maggiore concentrazione di imprese che operano nel settore agroalimentare.

Ma al di là delle differenze geografiche e di strutture produttive, i numeri rimangono estremamente negativi, come dimostrano anche le diverse stime, via via aggiornate, sulla perdita complessiva del PIL relativa all’anno in corso. Nel DEF 2020, il Governo ha previsto un calo dell’8% (pari al 7% in termini nominali, circa 126 miliardi di euro), mentre per l’ISTAT il PIL diminuirà dell’8,3%. Ancora peggiori le stime di OCSE e FMI. Secondo il primo organismo internazionale il calo del PIL italiano potrebbe collocarsi tra -11,3% e -14%, il FMI ha invece stimato un calo del 12,8%.

Si tratta, ha commentato Massimo Miani, Presidente del CNDCEC, di “cifre impressionanti, che non possono non destare enorme preoccupazione per il destino delle imprese italiane. Adesso – ha aggiunto – è urgente intervenire per spingere la ripresa, sia con interventi di alleggerimento della pressione finanziaria sulle imprese, a partire dal versante fiscale, sia con interventi che rafforzino il clima di sicurezza generale e quello più specifico nei settori produttivi”.

Per il numero uno dei commercialisti italiani sarebbe sbagliato intervenire sull’IVA, perché un simile provvedimento sarebbe “oneroso per il bilancio pubblico ma molto poco stimolante per la ripresa di consumi e investimenti”. Più corretto, invece, stimolare la produttività con misure come l’ecobonus al 110%, “a patto però che vengano lanciati velocemente in un quadro regolatorio il più chiaro e trasparente possibile”.

Serve, inoltre, una “riforma fiscale”, magari da realizzare nel “medio periodo”. Per Miani è fondamentale “ridurre la pressione fiscale sul ceto medio e sui giovani, così da favorire sia un accrescimento del reddito spendibile da parte delle famiglie con figli, che hanno una più elevata propensione al consumo, sia incentivando la propensione a lavorare delle fasce più deboli e l’emersione del nero”.