Va accertata non la materiale disponibilità da parte dell’indagato delle somme versate ma il fatto che il denaro sia causalmente «riferibile» ad esso

Di Maria Francesca ARTUSI

Un tema di particolare rilevanza pratica nell’ambito del sequestro penale attiene ai limiti di tale provvedimento laddove vi sia un conto corrente cointestato tra il soggetto indagato e un terzo estraneo al reato.

Ci si domanda, infatti, se sia configurabile una presunzione generale, ancorché relativa, secondo cui tutte le somme giacenti sul conto cointestato dovrebbero considerarsi riferibili al soggetto indagato. La questione si pone, in particolare, nel caso di sequestro finalizzato alla confisca diretta del prezzo o del profitto del reato, cioè in relazione ad un “tipo” di confisca per il quale è invece necessario verificare il nesso di derivazione dal reato e che il bene sia “appartenente” al soggetto indagato e non ad un terzo estraneo al reato per cui si procede.

Su questo argomento si è pronunciata la Cassazione con la sentenza n. 19766 depositata il 1° luglio scorso, relativa ad un sequestro ordinato a seguito della contestazione di condotte di corruzione e di emissione di fatture per operazioni inesistenti. I giudici di legittimità mostrano qui di non condividere quell’interpretazione secondo cui in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca eseguito su conto corrente cointestato all’indagato e a soggetto estraneo al reato, la misura cautelare si estende all’intero importo in giacenza, senza che a tal fine rilevino presunzioni o vincoli posti dal codice civile (artt. 1289 e 1834 c.c.), regolativi dei rapporti interni tra creditori e debitori solidali, ma è fatta salva la facoltà per il terzo di dimostrare l’esclusiva titolarità di tali somme e la conseguente illegittimità del vincolo (Cass. n. 24432/2019). Tale impostazione viene, tra l’altro, estesa anche al sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente di cui all’art. 322-ter c.p.

Diversamente, la pronuncia in commento afferma – condivisibilmente – che ciò che deve essere accertato non è la materiale disponibilità da parte dell’indagato del denaro versato sul conto corrente cointestato (non essendo peraltro, nel caso di specie, in discussione nemmeno la comunione di quel denaro successivamente al suo versamento sul conto) quanto, piuttosto, il fatto che il denaro sia causalmente “riferibile” allo stesso indagato. Intendendo per tale “riferibilità” il fatto che quel denaro sia a lui riconducibile o provenga da costui, perché solo ciò consente di affermare, in ragione della sua fungibilità, che quel bene sia profitto o prezzo del reato (Cass. SS.UU n. 31617/2015).

L’analisi deve, dunque, essere “spostata” al momento precedente la costituzione della comunione sul denaro. In caso contrario, si ammetterebbe, in via generalizzata, il sequestro funzionale alla confisca diretta del prezzo o del profitto del reato di beni che possono essere appartenenti a soggetti diversi dall’indagato.

La comproprietà del denaro che si realizza successivamente al versamento di questo sul conto corrente cointestato con un soggetto terzo non rende, cioè, irrilevante l’accertamento della provenienza del denaro su quel conto.
Per conseguenza, il sequestro totalitario finalizzato alla confisca diretta del denaro giacente sul conto corrente cointestato può essere disposto non sulla base di meccanismi presuntivi, ma a seguito di una verifica, anche solo a livello indiziario, che il conto sia alimentato solo da somme dell’indagato. In mancanza di tale elemento, il sequestro può essere disposto solo sulla parte del denaro proveniente dall’indagato; la riferibilità, in tutto o in parte, del denaro all’indagato deve essere oggetto di accertamento, seppure a livello indiziario, da parte del Pubblico Ministero che chiede il sequestro totalitario o parziale delle somme.

Dunque, non una inversione probatoria su base presuntiva, ma l’applicazione di principi generali per cui il sequestro diretto del prezzo o del profitto del reato è ammesso solo su beni “riferibili” all’indagato.

Tale impostazione si pone in senso simmetrico con quanto la Suprema Corte ha già chiarito in tema di sequestro conservativo; si è infatti affermato che il sequestro conservativo, avendo la funzione di garantire l’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato a carico della persona dell’imputato, non può estendersi ai beni appartenenti al terzo estraneo al reato, salva la prova dell’intestazione fittizia (Cass. n. 57829/2018, in cui è stata annullata la decisione del giudice territoriale che aveva confermato il sequestro conservativo in relazione a un immobile acquistato dall’imputato e dal coniuge in regime di comunione legale e alle somme depositate su un conto corrente bancario cointestato, disponendo, quanto a queste ultime, il rinvio al giudice del merito per la verifica della sostanziale esclusiva riferibilità all’imputato).