Un documento di CNDCEC e FNC esamina punti di forza e criticità dei due istituti, che si pongono come misure alternative alla confisca di prevenzione
Oltre alla c.d. “confisca di prevenzione” il DLgs. 159/2011 (Codice antimafia) prevede ulteriori misure patrimoniali, tra cui l’amministrazione giudiziaria e il controllo giudiziario delle aziende. Si tratta di provvedimenti “non ablatori”, volti ad aggredire i nuclei di economia illegale, reinserendo i patrimoni depurati nel circuito della legalità.
A queste due misure è dedicato un documento del CNDCEC e della Fondazione nazionale dei commercialisti redatto in collaborazione con la magistratura (“Orientamenti interpretativi in materia di misure di prevenzione patrimoniali non ablative” diffuso nella giornata di ieri).
Lo scopo è quello di fornire un supporto pratico agli operatori del settore descrivendo finalità e criticità di tali istituti e offrendo una serie di orientamenti interpretativi volti a superare le difficoltà applicative, ferma restando la consapevolezza che talune tematiche “necessiteranno inevitabilmente di un intervento legislativo”.
Può essere utile ricordare brevemente che le misure di prevenzione patrimoniali nascono con lo scopo di prevenire le diverse forme di criminalità da profitto, con particolare riguardo alla criminalità mafiosa, economica e connessa alla corruzione. Le organizzazioni criminali, infatti, compiono sempre con maggiore intensità, a fianco dei reati tradizionali (traffico di droga, armi, ecc.), delitti di tipo economico-finanziario (frodi fiscali, truffe ai danni dello Stato e dell’Ue, bancarotte, ecc.). Tra queste si annovera la confisca di prevenzione, quale provvedimento particolarmente efficace e, nello stesso tempo, particolarmente preoccupante, trattandosi di uno strumento sempre più utilizzato anche nei confronti della criminalità economica “non mafiosa”, con particolare riguardo all’ambito dell’evasione fiscale.
Il documento in esame evidenzia come, a seguito delle recenti riforme del DLgs. 159/2011 (L. 161/2017 e DL 113/2018), la confisca, quale agente catalizzatore delle politiche antimafia, pur mantenendo la sua indiscussa efficacia e centralità, sembra aver perso il tradizionale primato nell’azione di disinquinamento delle aree colpite dall’aggressione criminale.
Va in questa direzione la scelta di potenziare le misure dell’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende (art. 34 del DLgs. 159/2011) e del controllo giudiziario (art. 34-bis del DLgs. 159/2011).
La prima trova applicazione quando a seguito delle indagini (svolte ai sensi dell’art. 19 o 92 del medesimo decreto) ovvero a seguito delle verifiche compiute ai sensi dell’art. 213 del Codice dei contratti pubblici (DLgs. 50/2016) dall’Autorità nazionale anticorruzione: mancano le condizioni per applicare il sequestro per la successiva confisca (c.d. condizione negativa); sussistono sufficienti indizi per ritenere che il libero esercizio di determinate attività economiche, tra cui quelle imprenditoriali, sia direttamente o indirettamente “sottoposto alle condizioni di assoggettamento o condizionamento mafioso” o “possa comunque agevolare l’attività di persone nei confronti delle quali è stata proposta o applicata” una misura di prevenzione ovvero sottoposte a procedimento penale per determinati delitti previsti dalla norma (c.d. condizione positiva).
Il controllo giudiziario delle aziende è stato, invece, introdotto dall’ art. 11 della L. 161/2017 e trova applicazione – in via residuale – quando il libero esercizio di attività economiche può agevolare, anche se solo in modo occasionale, l’attività di persone socialmente pericolose, sempreché sussistano circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionarne l’attività.
Quanto al perimetro di applicazione soggettivo, tali provvedimenti possono interessare l’impresa esercitata in forma individuale o collettiva, le associazioni (riconosciute e non), le fondazioni, gli enti pubblici (ex art. 2093 c.c.) e le società pubbliche; restando escluse unicamente le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1 comma 2 del DLgs. 165/2001. Tale ambito potrebbe essere ulteriormente ampliato nei casi di collegamento societario derivanti dal controllo di fatto o di diritto di cui all’art. 2359 c.c. ovvero per il rapporto di “parte correlata”.
Il documento CNDCEC/FNC approfondisce, dunque, tali istituti soffermandosi sui punti di forza e sulle criticità interpretative e applicative (tra cui, ad esempio, il dibattuto tema sulla tutela dei terzi).
Ciò che emerge è che le finalità del Codice antimafia riformato non risultano più soltanto incentrate su quegli interventi diretti a togliere ricchezza e poteri alle organizzazioni criminali attraverso lo spossessamento gestorio (sequestro e confisca), bensì vi è una tendenza a valorizzare misure più affini alla ratio preventiva, collaudando forme nuove di collaborazione tra i settori pubblico e privato, in un’ottica di enfatizzata difesa dei contesti imprenditoriali.