Insindacabili le scelte relative agli assetti organizzativi, amministrativi e contabili della società

Di Maurizio MEOLI

La regola della business judgment rule (BJR) si applica anche in relazione al dovere degli amministratori di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva di una situazione di crisi e della perdita della continuità aziendale, sancito dall’art. 2086 comma 2 c.c., come inserito dall’art. 375 comma 2 del DLgs. 14/2019 (c.d. Codice della crisi).

A sancirlo è il Tribunale di Roma in un provvedimento cautelare dello scorso 8 aprile, prendendo espressa posizione su una questione che ha già visto la dottrina su posizioni contrapposte. Peraltro, già il Tribunale di Roma n. 10212/2019 ha applicato la BJR alla specifica scelta organizzativa dell’impresa rappresentata dalla determinazione degli emolumenti da riconoscere agli amministratori muniti di particolari cariche ex art. 2389 comma 3 c.c.

Il fatto che la questione esaminata attenga ad una srl induce il giudice a sottolineare, in primo luogo, come, nonostante l’art. 2476 c.c. non riproduca la formula contenuta in tema di spa, nell’art. 2392 c.c., sia comunque richiesta una diligenza di carattere professionale, determinata in ragione della natura dell’incarico e delle specifiche competenze degli amministratori.

Ai fini di tale responsabilità occorre distinguere tra obblighi con contenuto specifico e già determinato dalla legge o dall’atto costitutivo (ad esempio, quello di rispettare le norme interne di organizzazione relative alla formazione e alla manifestazione della volontà della società) ed obblighi definiti attraverso il ricorso a clausole generali (qual è l’obbligo di amministrare con diligenza e senza conflitti di interessi).

Nel caso degli obblighi specifici, la responsabilità può essere esclusa solo quando l’inadempimento sia dipeso da una causa a lui non imputabile ex art. 1218 c.c. In caso di obblighi generici, invece, la responsabilità è da correlare alla violazione dell’obbligo di diligenza nelle scelte di gestione; sicché la diligente attività dell’amministratore è sufficiente ad escludere direttamente l’inadempimento, a prescindere dall’esito della scelta.

In particolare, da questo punto di vista, l’amministratore di una società non può essere ritenuto responsabile di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale; essa, pertanto, potrebbe, eventualmente, rilevare come giusta causa di revoca dell’amministratore, non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società. Si tratta della regola della BJR, in forza della quale è da escludere che si possa far discendere l’eventuale responsabilità degli amministratori (esclusivamente) dall’insuccesso economico delle iniziative imprenditoriali intraprese, spettando il controllo sull’opportunità e sulla convenienza economica delle decisioni esclusivamente ai soci nei confronti del CdA e a quest’ultimo, come plenum, nei confronti dei delegati; si è in presenza, infatti, di un controllo in forma di potere di indirizzo, di condizionamento e anche di contrapposizione antagonistica, con la revoca dell’amministratore o della delega, e non già di sorveglianza e verifica in funzione di eventuali iniziative in chiave di responsabilità.

La scelta di gestione, peraltro, è da considerare insindacabile solo se legittimamente compiuta (sindacato sul modo in cui la scelta è stata assunta) e se non irrazionale (sindacato sulle ragioni per cui la scelta compiuta è stata preferita ad altre).

Dal primo punto di vista, si tratta di verificare se l’amministratore abbia eventualmente omesso le cautele, le verifiche e le informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, avendo riguardo alle circostanze del caso concreto. Quanto al secondo aspetto, invece, occorre verificare che le informazioni e le verifiche così assunte abbiano indotto l’amministratore ad una decisione razionalmente inerente ad esse, altrimenti insorgendo la responsabilità anche per gli inutili costi dell’informazione (cfr. anche Trib. Roma nn. 10212/2019 e 19198/2015).

A fronte di tutto ciò, il giudice romano sottolinea come la funzione organizzativa rientri nel più vasto ambito della gestione sociale e debba necessariamente essere esercitata impiegando un certo margine di libertà; per cui le decisioni relative all’espletamento della stessa vengono incluse tra le decisioni strategiche. La predisposizione di un assetto organizzativo non costituisce l’oggetto di un obbligo a contenuto specifico, ma di un obbligo a contenuto non predeterminato che acquisisce concretezza solo avuto riguardo alla specificità dell’impresa esercitata e del momento in cui quella scelta organizzativa viene posta in essere. Nell’assolvimento di tale obbligo organizzativo non è possibile affidarsi a rigidi parametri normativi (non essendo ravvisabile un modello normativo, appunto, di assetto utile per tutte le situazioni), ma a principi elaborati dalle scienze aziendalistiche ovvero da associazioni di categoria o dai codici di autodisciplina.

D’altra parte, il legislatore ha fatto riferimento alla clausola generale dell’adeguatezza ovvero ad una clausola elastica, analoga a quella di diligenza dovuta nel realizzare una scelta imprenditoriale.
La scelta organizzativa, quindi, rimane pur sempre una scelta attinente al merito gestorio, per la quale vale il criterio della insindacabilità, seppure entro i limiti sopra esposti.