È sufficiente la dimostrazione che, in caso di ammissione allo stato passivo, il credito non sarebbe stato comunque riscosso

Di Michele BANA

L’art. 90, par. 1, e l’art. 273 della direttiva 2006/112/Ce devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa di uno Stato membro in virtù della quale ad un soggetto passivo viene rifiutato il diritto alla riduzione dell’IVA assolta, e relativa ad un credito non recuperabile, qualora egli abbia omesso di insinuare tale credito nella procedura fallimentare instaurata nei confronti del suo debitore, quand’anche detto soggetto dimostri che, se avesse insinuato il credito in questione, questo non sarebbe stato riscosso.

Lo ha stabilito la Corte di Giustizia Ue, nella causa C-146/19 di ieri, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale formulata dalla Corte Suprema Slovena, riguardante il rifiuto di concedere al cedente/prestatore la rettifica dell’IVA pagata, e relativa a crediti non ricossi, a motivo dell’omessa insinuazione di tali crediti nei procedimenti fallimentari instaurati nei confronti dei propri debitori. L’art. 39 della legge IVA slovena stabilisce, infatti, alcune condizioni che pongono dei dubbi di coordinamento con le suddette disposizioni comunitarie.

In particolare, è stabilito che la rettifica dell’IVA è possibile – analogamente all’art. 26 comma 2 del DPR 633/1972 – quando risulta, sulla base di un’ordinanza definitiva di un giudice che dispone la chiusura della procedura fallimentare (o termina positivamente il concordato preventivo), che il creditore non è stato pagato, anche soltanto in parte. Inoltre, a prescindere da tale disposizione, la norma slovena puntualizza che il soggetto passivo può rettificare, in diminuzione, l’IVA conteggiata e non pagata relativa a tutti i crediti riconosciuti che egli abbia insinuato nel fallimento o concordato preventivo. A ciò si aggiunga che, a norma dell’art. 296 della disciplina concorsuale slovena, i creditori devono insinuare nel fallimento tutti i crediti da essi vantati nei confronti del debitore fallito, sorti sino all’inizio della procedura: nel caso in cui il creditore non rispetti il termine per l’insinuazione del credito, il proprio diritto nei confronti del debitore fallito si estingue e il giudice respinge l’istanza tardiva di ammissione allo stato passivo della procedura.

La Corte di Giustizia Ue ha ricordato che una situazione caratterizzata dalla riduzione definitiva degli obblighi del debitore – come l’estinzione del credito a causa della mancata insinuazione nel fallimento – non può essere qualificata come “non pagamento”, ai sensi dell’art. 90, par. 2 della direttiva 2006/112/CE: conseguentemente, in tale caso, lo Stato membro deve permettere, a norma del precedente par. 1, la riduzione della base imponibile IVA, in conseguenza della mancata riscossione della controprestazione, qualora il soggetto passivo possa dimostrare che il proprio credito presenta un carattere definitivamente irrecuperabile (Corte di Giustizia Ue, causa C-292/19).

In altri termini, ai fini della rettifica dell’IVA è sufficiente che il soggetto passivo fornisca la prova che, anche qualora avesse effettuato l’insinuazione nel fallimento del proprio credito, quest’ultimo non sarebbe stato riscosso (causa C-127/18). In tale sede, è stato, altresì, rammentato che l’art. 273 della direttiva 2006/112/Ce attribuisce agli Stati membri un margine di discrezionalità in ordine alle formalità che i soggetti passivi devono soddisfare di fronte alle autorità tributarie, al fine di procedere ad una riduzione della base imponibile (Corte di Giustizia Ue, causa C-672/17).

I giudici comunitari hanno, tuttavia, sottolineato che tale circostanza non pregiudica il carattere preciso e incondizionato dell’obbligo di riconoscere la riduzione della base imponibile nei casi contemplati dall’art. 90, par. 1, della direttiva 2006/112/CE (Corte di Giustizia Ue, causa C-337/13). Questa norma deve, pertanto, essere interpretata nel senso che il giudice nazionale deve, in virtù dell’obbligo che gli incombe di adottare tutte le misure idonee a garantire l’esecuzione di tale disposizione, interpretare il diritto nazionale in modo conforme a quest’ultima, ovvero – qualora ciò non fosse possibile – disapplicare qualsiasi legislazione nazionale la cui applicazione porti ad un risultato contrario alla predetta norma comunitaria (Corte di Giustizia Ue, causa C-752/18).

Alla luce di tali principi giurisprudenziali, e tenuto conto che anche in Italia è necessaria – ai fini dell’emissione della nota di variazione IVA per infruttuosità della procedura – l’insinuazione del credito nel fallimento, le suddette conclusioni della Corte di Giustizia Ue, causa C-146/19 dovrebbero ritenersi invocabili anche in sede di applicazione dell’art. 26 comma 2 del DPR 633/72.