Per la Cassazione non può essere considerata quel «pagamento integrale» necessario per la non punibilità di cui all’art. 13 del DLgs. 74/2000

Di Maria Francesca ARTUSI

La compensazione del debito IVA non può rilevare “automaticamente” ai fini della causa di non punibilità prevista per il reato di omesso versamento ai sensi dell’art. 10-ter del DLgs. 74/2000.

Va ricordato, in proposito, che l’art. 13 del DLgs. 74/2000 – così come modificato dal DLgs. 158/2015 – ha introdotto la possibilità di esclusione della punibilità per alcuni reati tributari, elenco di recente esteso anche alle dichiarazioni fraudolente a opera del DL 124/2019 convertito. Per quanto riguarda l’omesso versamento IVA, la disposizione citata prevede che tale fattispecie non sia punibile se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso.

Alla luce di tale disposizione, la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 17806 depositata ieri, è chiamata a confrontarsi con la possibile rilevanza della compensazione rispetto al requisito – a dire il vero molto dibattuto – dell’integrale pagamento del debito fiscale.

Il procedimento attiene alla condanna a quattro mesi di reclusione, oltre alle sanzioni accessorie e al pagamento delle spese processuali, per il reato di cui all’art. 10-ter del DLgs. 74/2000 nei confronti del legale rappresentante di una srl che aveva omesso di versare nei termini di legge l’IVA dovuta, nella misura di circa 2 milioni di euro.
Il ricorrente, tra l’altro, invocava la possibilità di far valere la causa di non punibilità conseguente al pagamento del debito, in virtù di un’avvenuta compensazione.

Nelle motivazioni della sentenza viene, innanzitutto, escluso che la compensazione di diritto, ove maturata prima della scadenza dell’obbligo di versamento dell’IVA, sia idonea a estinguere in radice il debito stesso sicché non potrebbe parlarsi, evidentemente, del pagamento di un debito che sarebbe, già di per sé, inesistente.

In secondo luogo, e muovendo allora dall’ipotesi che, invece, la compensazione di specie sia maturata (come parrebbe ricavabile dalla sentenza di merito) successivamente alla scadenza dell’obbligo di versamento, va rilevato che il dettato del citato art. 13, che fa espresso riferimento al “pagamento”, in esso includendo anche ipotesi specifiche derivanti da istituti di natura conciliativa, non consente di includervi l’ipotesi della compensazione legale, che rientra, per espressa qualificazione del codice civile, tra i “modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento”, ovvero, in altri termini, diversi proprio dal pagamento.
Viene, così, ritenuto che la compensazione invocata dal ricorrente nel caso in esame non sia funzionale all’applicabilità della causa di esclusione della punibilità.

Tale lettura – nella brevità delle argomentazioni con cui viene trattato il tema – sembrerebbe fondarsi sulla ratio dell’art. 13 medesimo che consiste nell’interesse (concreto) che ha l’ordinamento a incentivare comportamenti antagonisti al fatto criminoso: cioè un comportamento successivo alla commissione del reato (nel caso il pagamento integrale), che elimina l’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma (così Cass. n. 37083/2018).

Altrettanto rigorosa e restrittiva è la presa di posizione della sentenza in esame in riferimento alla possibile rilevanza della crisi di liquidità ai fini dell’esclusione dei reati di omesso versamento delle imposte. La Cassazione ribadisce qui la necessità di assolvere, da parte dell’interessato, a puntuali oneri di allegazione che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilità al contribuente della improvvisa crisi economica, ma anche quello della necessità di adottare le misure idonee a fronteggiarla, anche attingendo al proprio personale patrimonio (tra le tante, Cass. nn. 20266/2014 e 5467/2014).
Nel caso di specie, non è stato pertanto ritenuto sufficiente il riferimento a una generica crisi d’impresa, né tantomeno alla scelta imprenditoriale di pagare le scadenza più imminenti trascurando i debiti erariali, tale fatto, anzi dimostrando, comunque, la suitas della condotta e la mancanza, inoltre, di qualsiasi causa di forza maggiore.