Solo con la riformulazione dell’art. 8, comma 35 della L. 67/88 la sentenza comunitaria verrebbe a produrre pieni effetti nell’ordinamento interno

Di Massimo BOIDI

Il trattamento ai fini IVA del distacco/prestito del personale è tornato alla ribalta a seguito della recente sentenza della Corte di Giustizia Ue (sentenza dell’11 marzo 2020, causa C-94/19), la quale ha ritenuto che, quand’anche il distaccatario rimborsi al distaccante il puro costo, l’operazione, in ossequio al dettato della sesta direttiva Cee, deve essere comunque considerata prestazione di servizio imponibile, poiché la stessa è definibile “a titolo oneroso tutte le volte in cui, nel rapporto intercorrente tra prestatore e beneficiario, sia ravvisabile una relazione giuridica basata sullo scambio di prestazioni reciproche, in cui cioè si ravvisi un nesso diretto tra il servizio reso e il corrispettivo ricevuto”.

La fattispecie a livello nazionale è oggi disciplinata giuridicamente dall’art. 30 del DLgs. 276/2003, mentre a livello fiscale, dopo oscillanti interpretazioni, è intervenuto definitivamente l’art. 8, comma 35 della L. 67/88, stabilendo che “non sono da intendere rilevanti agli effetti IVA i prestiti o distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo”.

A fronte pertanto del contrasto interpretativo fra disciplina nazionale e giurisprudenza comunitaria, Assonime è intervenuta con la circolare n. 8 del 19 maggio 2020, analizzando compiutamente la fattispecie, ritenendo non condivisibile la posizione assunta dai giudici comunitari, ma, soprattutto, chiedendosi quale tipo di conseguenze potrebbero derivare ai contribuenti italiani.
Principalmente Assonime rileva che “la sentenza della Corte di Giustizia solleva più di qualche perplessità, in quanto il concetto di reciproco condizionamento delle due prestazioni – concetto che è alla base delle argomentazioni della sentenza comunitaria – sembra corrispondere, sostanzialmente, al nostro comune concetto di sinallagma, cioè quella relazione che unisce due prestazioni, nelle quali l’una si rende dovuta in quanto è dovuta l’altra”.

La rifusione quindi del puro costo alla parte che presta il personale e che sostiene per continuare a mantenere la sua posizione di datrice di lavoro non può costituire una remunerazione di un servizio, bensì la richiesta di rimanere indenne da tali costi, visto che gli interessi e gli scopi perseguiti con il prestito sono di natura prettamente organizzativa.

Tutto ciò detto, resta il problema degli effetti della sentenza comunitaria e il conseguente comportamento che i contribuenti italiani hanno adottato in passato e dovranno adottare in futuro.
Normalmente le sentenze della Corte di Giustizia hanno efficacia ex tunc, in quanto definiscono la portata delle norme comunitarie sin dalla loro entrata in vigore. La sentenza in questione tuttavia non rimuove un ingiusto danno subito dai soggetti interessati, per effetto di tributi ingiustamente incassati dagli Stati membri.

La stessa Corte Ue ha poi, in taluni casi, espressamente escluso l’applicazione retroattiva delle proprie decisioni per garantire il principio della certezza del diritto.

Dall’altro verso, soprattutto per il passato, l’Amministrazione finanziaria italiana non potrebbe ora richiedere il versamento dell’IVA, in quanto lederebbe il principio generale del legittimo affidamento del contribuente, che ha fedelmente applicato i criteri impositivi stabiliti.
Tale principio è poi oggi pacificamente parte del nostro contesto normativo, pienamente recepito dall’art. 10 dello Statuto del contribuente, il quale stabilisce che i rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede e che un contribuente non può essere sanzionato se si sia conformato a indicazioni contenute in atti della stessa Amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate.

Assonime giustamente conclude che, sulla base di quanto sopra, il legislatore tributario nazionale dovrebbe procedere a una riformulazione dell’art. 8, comma 35 della L. 67/88, perché solo in questo modo la sentenza comunitaria verrebbe a produrre pieni effetti nell’ordinamento interno, considerando allo stesso tempo legittimi tutti i comportamenti tenuti in precedenza.

È certo che per permettere ai contribuenti italiani di agire in un ambito di maggiore certezza l’Amministrazione finanziaria dovrebbe al più presto far conoscere il proprio orientamento, possibilmente adottando gli stessi criteri già utilizzati, in adeguamento a sentenze comunitarie, per escludere l’esenzione da IVA per le prestazioni rese dai veterinari (senza effetti retroattivi e a partire dal 27 gennaio 1991, data di entrata in vigore della L. 428/90, art. 30) e, più recentemente, per le lezioni impartite dalle scuole guida per il conseguimento delle patenti solamente a decorrere dal 1° gennaio 2020 (art. 32 del DL 124/2019).