Soglie dimensionali per il beneficio fiscale da valutare a livello aggregato e non di singolo soggetto

Di Gianluca ODETTO

Il meccanismo di funzionamento dei crediti d’imposta previsti dall’art. 26 del DL 34/2020 per il rafforzamento patrimoniale delle medie imprese costituite in forma di società di capitali risulta caratterizzato da “paletti” rigidi per le società che fanno parte di gruppi.

In linea generale, i requisiti di accesso sono rappresentati dal volume dei ricavi prodotto nel 2019, che deve essere compreso tra 5 e 50 milioni di euro, e dalla riduzione dei ricavi a causa dell’emergenza epidemiologica COVID-19 di almeno il 33% nel bimestre marzo-aprile 2020 rispetto al corrispondente periodo del 2019. Così, ad esempio, una società con 35 milioni di euro di ricavi nel 2019 non può accedere ai benefici se i ricavi nel bimestre marzo-aprile 2020 ammontano a 4,5 milioni, mentre nel bimestre marzo-aprile 2019 erano pari a 6 milioni, in quanto è rispettato il requisito dimensionale, ma non quello della riduzione dei ricavi (pari al 25%); la stessa società potrebbe, invece, essere agevolata nel momento in cui i ricavi del bimestre marzo-aprile 2020 ammontassero a 3,9 milioni, in quanto la riduzione percentuale sarebbe pari al 35%.

Fatte queste premesse, l’art. 26 comma 1 lettera a) del DL 34/2020 prevede che, se la società appartiene ad un gruppo, il requisito dimensionale (si presume sia il limite minimo, sia quello massimo, dei ricavi) deve essere assunto su base consolidata, al più elevato grado di consolidamento, non tenendo conto dei ricavi infragruppo. Nell’attesa che il DM attuativo delle disposizioni in commento faccia chiarezza sulla nozione di gruppo valevole a questi fini, si può ipotizzare che il riferimento ai ricavi su base consolidata non riguardi i soli gruppi che redigono il bilancio consolidato (molti gruppi potrebbero, infatti, non esservi tenuti anche solo per ragioni dimensionali), ma implichi in ogni caso la necessità di sommare i ricavi delle diverse società e di sottrarre dal dato aggregato quello dei ricavi infragruppo.

Così, riprendendo l’esempio precedente, se la società con ricavi nel 2019 di 35 milioni di euro fosse controllata al 100% da una società con ricavi di 200 milioni, le agevolazioni non spetterebbero. Al contrario, sarebbe titolata ai benefici la società con ricavi pari, ad esempio, a 2 milioni (astrattamente esclusa, quindi, a livello individuale) se controllata da una società con ricavi pari a 4 milioni, in quanto il gruppo, nella sua totalità, supera la soglia dimensionale minima.

Un altro problema si cela, però, nella formulazione dell’art. 26 comma 1 lettera b) del DL 34/2020, dalla quale si comprende che anche il parametro della riduzione dei ricavi almeno pari al 33% andrebbe valutato su base consolidata. Potrebbero quindi esservi casi di società che, singolarmente considerate, hanno subìto una contrazione di ricavi molto sensibile (o in certi casi, di fatto un loro azzeramento), ma facenti parte di gruppi che a livello aggregato hanno registrato una riduzione dei ricavi nel bimestre marzo-aprile 2020 inferiore al 33%, per cui la formulazione della norma escluderebbe la possibilità di accedere alle agevolazioni. Si tratta di un aspetto che, forse, non è stato adeguatamente ponderato dal legislatore, e che potrebbe quindi essere riconsiderato.

Sempre con riferimento ai gruppi, l’art. 26 comma 5 del decreto prevede che non compete il credito d’imposta del 20% per il soggetto che effettua il conferimento se questo è una società che controlla direttamente o indirettamente la società conferitaria, è da questa controllata o a questa collegata, ovvero è sottoposta a comune controllo. Ipotizzando un gruppo di due società A e B, in cui A controlla B, l’aumento di capitale effettuato da B e sottoscritto (e versato) da A non potrebbe generare il credito d’imposta in capo ad A; per come è scritta la norma rimarrebbe, invece, il credito d’imposta parametrato alle perdite del 2020 in capo a B. Non si comprende appieno il vincolo in esame, posto che risulta fisiologico che sia la controllante a sottoscrivere l’aumento di capitale: l’ipotesi è che si intenda prevenire fenomeni di duplicazione del beneficio, come nell’ACE, per gli aumenti “a cascata”, favorendo la capitalizzazione della società “a monte” da parte di soggetti estranei al gruppo (es. persone fisiche).

Ma anche in questo caso risulta un problema, in quanto il comma 1 dell’art. 26 escluderebbe dai benefici gli aumenti di capitale effettuati dalle società holding, rientrando queste tra le società di cui all’art. 162-bis del TUIR: si dovrebbe, però, valutare se ciò risponde realmente alla ratio della norma, posto che la Relazione al DL 34/2020 menziona quali soggetti agevolati le “società che non operano nei settori bancario, finanziario e assicurativo”, con una nozione di settore finanziario che dovrebbe essere assunta nella sua accezione “pura”, tale da non ricomprendere le holding industriali.

In attesa che il DM attuativo regolamenti in modo puntuale queste casistiche risulta, quindi, concreto il rischio che vi siano situazioni in cui la capitalizzazione non possa essere agevolata. Allo stato attuale, le uniche situazioni in cui il rischio pare non sussistere sono quelle in cui l’aumento di capitale venga sottoscritto da soggetti esterni al gruppo, o da persone fisiche che assumono partecipazioni dirette non nella holding, ma nelle società operative sottostanti.