Ogni modifica alle regole contabili, seppur transitoria, rischierebbe di non rispettare il postulato del bilancio della rappresentazione veritiera e corretta

Di Fabrizio BAVA e Alain DEVALLE

Da più parti si è proposto di introdurre modifiche transitorie alle regole di redazione del bilancio, con la lodevole finalità di sostenere il patrimonio delle imprese colpite dai nefasti effetti dell’emergenza COVID-19.
Tuttavia, occorre richiamare il ruolo del bilancio d’esercizio nell’ambito della comunicazione economico-finanziaria dell’impresa.

Il bilancio delle imprese non è (soltanto) un obbligo di legge, un “fatto contabile”, uno dei tanti adempimenti delle imprese.
Il bilancio è prima di tutto il documento attraverso il quale l’impresa comunica il proprio stato di salute ai destinatari (banche, fornitori, clienti, ecc.) al fine di ottenerne l’indispensabile supporto.

Pensare di modificare le regole del bilancio, ritenendo in tal modo di sostenere le imprese, è come cercare di curare la febbre provocata dal virus COVID-19, sostituendo il termometro con uno che indichi non più di 36,8°.
Se le imprese non stanno bene, devono essere individuate le cure, che, nel caso della pandemia, non possono che consistere, in una prima fase, nel supporto finanziario e, successivamente, nell’agevolare la ripresa economica.

Qualunque modifica alle regole contabili, seppur transitoria, rischierebbe di non rispettare il postulato del bilancio della rappresentazione veritiera e corretta.
Le modifiche inciderebbero sulla rappresentazione degli equilibri di gestione delle imprese e, conseguentemente, rischierebbero di alterare la comprensione del reale stato di salute delle imprese da parte dei destinatari del bilancio.
La tutela del patrimonio netto delle imprese non può avvenire alterando la rappresentazione dello stato di salute, ma piuttosto, come opportunamente previsto dal DL 23/2020 (“decreto liquidità”), sospendendo il sorgere della clausola di scioglimento in caso di perdita del capitale nel bilancio 2020.

Questo non significa che il redattore del bilancio non possa porre in essere politiche di massimizzazione del risultato (o meglio riduzione delle perdite) per contrastare gli effetti del virus sul patrimonio netto e sul risultato d’esercizio, ma ciò deve avvenire attraverso la corretta applicazione dei principi contabili.

Un esempio è rappresentato dagli ammortamenti: se da un lato non si possono sospendere per il mancato utilizzo temporaneo, si deve tenere conto del fatto che è ampiamente diffusa la prassi di applicare le aliquote ordinarie, che (con rare eccezioni) sottostimano significativamente l’effettiva vita utile economico-tecnica.
L’OIC 16 (§ 70) richiede che il piano di ammortamento sia “periodicamente rivisto per verificare se sono intervenuti cambiamenti tali da richiedere una modifica delle stime effettuate nella determinazione della residua possibilità di utilizzazione”. In caso di modifica della vita utile, il valore netto del bene deve essere ripartito sulla nuova vita utile residua, e tale modifica deve essere motivata nella Nota integrativa.
Ove il piano di ammortamento non rappresenti correttamente l’utilizzo dei cespiti, pertanto, si potrà rideterminare la vita utile, al fine di stanziare ammortamenti effettivamente rappresentativi del numero di esercizi di utilizzo dei beni, ottenendo una riduzione del peso degli ammortamenti in bilancio e sostenendo pertanto il tal modo il risultato d’esercizio.

Un ulteriore intervento che potrebbe essere suggerito, anche se potrà essere efficace soltanto per alcuni, è riproporre la rivalutazione monetaria dei beni di impresa anche solo ai fini civilistici come già avvenuto per la crisi del 2008.
Il DL 185/2008, consentiva, in via del tutto eccezionale e in considerazione della crisi economica, di rivalutare gli immobili delle imprese in deroga alle norme del codice civile che prevedono l’iscrizione delle immobilizzazioni nell’attivo del bilancio in base al criterio del costo storico.
La particolarità di tale legge di rivalutazione, rispetto a quelle emanate più recentemente, è la possibilità di effettuare la rivalutazione a titolo gratuito, cioè senza la corresponsione dell’imposta sostitutiva (naturalmente, in tal caso, la rivalutazione non consente di ottenere il riconoscimento fiscale dell’ammontare della rivalutazione effettuata).
Attraverso tale previsione, l’impresa potrebbe sostenere il patrimonio netto, che è un indice determinante anche nella determinazione del rating bancario.

In realtà, il vero aspetto che dovrebbe trovare tutela è relativo alle responsabilità che gravano su amministratori e organi di controllo. Purtroppo, potrà capitare che l’impresa non riesca a superare la crisi e, in caso di fallimento, non dovrebbe essere ritenuto responsabile né l’amministratore né l’organo di controllo, ognuno nei limiti del proprio ruolo, per i danni arrecati ai terzi per aver cercato di continuare a operare, laddove si sia tentato in buona fede e con professionalità fino all’ultimo di cercare soluzioni per salvaguardare la continuità d’impresa (e i posti di lavoro), dandone adeguata e ragionevole evidenza.