Somme per l’alimentazione del fondo non direttamente ricollegabili alla nozione di corrispettivo di rapporto lavorativo oggetto di accantonamento
Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può investire anche le somme giacenti su un “fondo pensione”. È quanto accaduto nel caso affrontato dalla Terza sezione penale della Cassazione nella pronuncia n. 13660 depositata ieri.
Il ricorso verteva su un procedimento relativo al reato di dichiarazione fraudolenta attraverso l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti avviato nei confronti del legale rappresentante e dell’amministratore “di fatto” di una società di costruzioni. A fronte di tali contestazioni era stato ordinato il sequestro preventivo del profitto del reato; sequestro che aveva investito anche delle somme giacenti presso un fondo pensione gestito da una società di assicurazioni e intestato a uno dei due imputati.
I giudici di legittimità sono, dunque, stati chiamati a confrontarsi sul tema della sequestrabilità dei “fondi pensione”, questione che si intreccia con quella civilistica relativa alla pignorabilità o meno dei medesimi.
L’art. 545 c.p.p. dispone, infatti, che le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato. Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle Province e ai Comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito.
Il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause indicate precedentemente non può estendersi oltre alla metà dell’ammontare delle somme predette.
Si tratta, pertanto, di vedere se tali principi, coniugati con l’ulteriore normativa di settore (in particolare, l’art. 11 comma 10 del DLgs. 252/2005 che prevede la intangibilità delle somme finalizzate ad alimentare il fondo pensione durante la fase dell’accumulo e l’art. 1923 c.c.), possa avere conseguenze anche sul piano del sequestro preventivo penale finalizzato ad una successiva confisca in relazione a somme versate per la erogazione di una pensione integrativa.
Sul punto, la sentenza n. 14606/2019 della Cassazione aveva affermato che il sequestro non può essere eseguito su somme corrispondenti al triplo della pensione sociale giacenti sul conto corrente del destinatario della misura allorquando sia certo che tali somme sono riconducibili ad emolumenti corrisposti nell’ambito del rapporto di lavoro o di impiego.
Ciò in quanto l’art. 545 c.p.c. (ed in particolare il suo comma 6), benché faccia riferimento al solo pignoramento, è espressione di un principio generale che mira a garantire i diritti fondamentali tutelati dall’art. 2 Cost., sicché deve certamente farsene applicazione anche con riguardo al sequestro penale e, segnatamente, a quello preventivo. Non sarebbe, infatti, ragionevole – per i giudici di legittimità – ritenere che in questo campo debba continuare a valere l’opposto principio interpretativo secondo cui, una volta versati sul conto del debitore (ciò che di regola accade per stipendi e pensioni) gli emolumenti si confondono nel patrimonio perdendo la loro natura alimentare (principio, invece, affermato dall’opposto orientamento sposato, ad esempio, da Cass. n. 42533/2017).
Tuttavia, la pronuncia in esame aggiunge che tale art. 545 c.p.p., per la parte che ora interessa, cioè i commi 3, 4, 6, 7, 8, e 9, non è applicabile alle ipotesi di crediti derivanti da “fondi pensioni” ad accumulo. Infatti, pur riconoscendo che si tratta di strumenti finanziari aventi una finalità riconducibile al genus previdenziale, si rileva, che le somme necessarie per la loro alimentazione non sono immediatamente ricollegabili alla nozione di corrispettivo di rapporto lavorativo oggetto di accantonamento (non foss’altro perché esse possono legittimamente essere versate dal soggetto interessato al conseguimento di una indennità al compimento della età pensionabile, sebbene le relative provviste non siano rivenienti dallo svolgimento di un’attività lavorativa, tanto meno subordinata).
Da altra parte si osserva che, proprio la qualificazione attribuita ad essi di strumenti per la previdenza complementare, induce ad escludere che, pur ritenuta la piena meritevolezza dell’interesse che sottende alla stipula di accordi di tale genere fra privato ed assicuratore, essi vanno ad integrare – arricchendolo e non costituendolo – quel nucleo essenziale di prestazioni che è soggetto a espressa garanzia di intangibilità sia sotto il profilo civile che sotto quello penale.
Ritenuto, pertanto, che gli strumenti finanziari riconducibili alla categoria dei “fondi pensione” costituiscano una categoria assimilabile alle assicurazioni sulla vita, la Cassazione conclude che le somme di danaro in essi confluite sono soggette alla ordinaria disciplina penalistica in materia di sequestro preventivo dei crediti finalizzato alla successiva confisca.