La Fondazione Studi Consulenti del lavoro risponde ad alcuni dubbi circa il rientro di lavoratori e professionisti
L’inizio della c.d. “fase due”, iniziata lo scorso 4 maggio, ha determinato un graduale rientro di lavoratori e professionisti presso le aziende e gli studi professionali, sollevando una serie di interrogativi ai quali la Fondazione Studi Consulenti del lavoro ha provato a dare risposta, con la circolare n. 12 pubblicata ieri.
Il documento si concentra in particolare sulla predisposizione di un ambiente di lavoro sicuro negli studi professionali, tematica al centro di diversi vademecum e linee guida pubblicati in questi giorni, da ultimo, da Confprofessioni (si veda “Operazioni di sanificazione «tracciate» negli studi professionali” del 5 maggio 2020).
Secondo la Fondazione, il primo passo da mettere in pratica è garantire un’adeguata informazione del personale circa i comportamenti da adottare, in particolare quelli volti a garantire il rispetto delle distanze di sicurezza, delle misure igienico-sanitarie, nonché sulle modalità di utilizzo di guanti monouso e mascherine chirurgiche; a tale scopo, si raccomanda la predisposizione di un’informativa da mettere a disposizione presso lo studio per dipendenti e collaboratori.
Oltre alla raccomandazione di attuare il più possibile lo smart working e di riorganizzare orari e postazioni di lavoro in modo da scongiurare assembramenti di personale, un’attività estremamente importante in questa fase è la sanificazione degli ambienti di lavoro. Tale attività può essere effettuata direttamente dal titolare dello studio professionale – senza che sia necessario rivolgersi a una ditta esterna – purché istruisca il proprio personale addetto alle pulizie sul comportamento specifico da tenere in ragione del rischio COVID-19.
L’attività di sanificazione è a carico del datore di lavoro. Al riguardo, la Fondazione ricorda che l’art. 64 del DL 18/2020 (conv L. 27/2020) ha previsto un credito d’imposta, nella misura del 50%, sulle spese di sanificazione sostenute nel 2020, in favore dei soggetti esercenti attività d’impresa e degli esercenti arti e professioni (in forma individuale o associata), ma le disposizioni attuative verranno rese note con un decreto ministeriale di prossima emanazione.
Altra questione molto attuale, dato l’avvicinarsi della stagione estiva, è quella legata alla possibilità di utilizzare l’aria condizionata solo dopo un’adeguata manutenzione del condizionatore e la sanificazione dei filtri. Attività di questo tipo, in realtà, andrebbero messe in pratica tutti gli anni per scongiurare i rischi di propagazione di altre malattie (ad es. la polmonite da legionella), ma data la particolarità del contesto emergenziale in atto la Fondazione fa presente che le principali associazioni degli impiantisti stanno organizzando protocolli di manutenzione adeguati.
Tra gli altri chiarimenti forniti dalla circolare in esame, si rileva che in caso di contratto di coworking tra professionisti, “a ciascun datore di lavoro competono gli adempimenti nei confronti dei propri dipendenti, nonché l’adozione delle misure necessarie per ricevere la clientela in sicurezza”; chi, invece, senza essere associato, affitti una stanza in uno studio associato e non abbia dipendenti, dovrà chiedere ai propri clienti di rispettare le regole di comportamento adeguate.
Più in generale, comunque, secondo la Fondazione l’assenza di dipendenti in studio non esime il consulente dall’adottare adeguate misure di prevenzione del contagio.
Diversi datori di lavoro si stanno inoltre attrezzando per poter misurare la temperatura corporea dei propri dipendenti prima dell’ingresso in azienda, ma ciò deve essere attuato nel rispetto delle disposizioni in materia di privacy. In proposito, la Fondazione spiega che tale attività integra sempre un trattamento del dato personale del dipendente inerente la salute, a prescindere dal fatto che la temperatura corporea superi o meno i 37.5°, soglia “limite” prevista dalle misure di contenimento della diffusione del COVID-19.
In tale ultimo caso, il datore di lavoro dovrà procedere con la registrazione del dato, in quanto attività strumentale alle dovute comunicazioni all’Autorità competente. Inoltre, l’acquisizione del dato della temperatura corporea o di altri sintomi influenzali non comporta la necessità di acquisire il consenso da parte del dipendente, in quanto sembra possibile applicare l’art. 9 del GDPR, che autorizza il trattamento dei dati per ragioni quali, come in questo caso, motivi di interesse pubblico.
Tuttavia, occorrerà fornire al dipendente una specifica informativa (anche ad integrazione di quella già rilasciata) che contenga le informazioni connesse alle speciali e temporanee misure di contenimento del virus.