La mera presentazione della domanda non assume rilevanza, né sul piano dell’elemento soggettivo, né su quello dell’esigibilità della condotta
Molto dibattuto è il rapporto tra la disciplina del concordato preventivo e le sanzioni penali derivanti da omessi versamenti (di ritenute o IVA). Si tratta di una problematica delicata che richiede il bilanciamento tra interessi contrapposti e che è destinata ad acuirsi nel prossimo futuro con la crisi che sta investendo il nostro Paese e non solo. Testimonia la rilevanza della questione il fatto che la Corte di Cassazione sia tornata sull’argomento con diverse sentenze a pochi giorni di distanza (n. 13628, depositata ieri, nn. 13327 e 13092 rispettivamente depositate il 30 e il 28 aprile scorso).
Nel primo caso si trattava di un sequestro preventivo di oltre un milione di euro nei confronti del legale rappresentante di una società per azioni, quale sostituto di imposta, a seguito dell’omissione di ritenute dovute o certificate sanzionata dall’art. 10-bis del DLgs. 74/2000. La società in questione aveva presentato domanda di concordato preventivo ai sensi dell’art. 161 comma 6 del RD 267/42 (c.d. “concordato in bianco”).
Va ricordato che, a differenza della procedura fallimentare, il concordato non priva l’imprenditore dell’amministrazione dei beni, ma gli consente il compimento di alcuni atti gestori, situazione che viene comunemente indicata come “spossessamento attenuato”. Per effetto di tale limitata facoltà di disposizione, il legislatore ha previsto che l’imprenditore conservi l’amministrazione del patrimonio e la gestione dell’impresa potendo compiere gli atti di ordinaria amministrazione, mentre quelli straordinari sono condizionati all’autorizzazione del Tribunale (art. 161 comma 7 e art. 167 del citato decreto).
Ne consegue – secondo la sentenza in commento – che la mera presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, anche con riserva, non impedisce il pagamento dei debiti tributari che vengano a scadere successivamente alla sua presentazione e, pertanto, la mera presentazione della domanda non assume rilevanza, né sul piano dell’elemento soggettivo, né su quello della esigibilità della condotta.
Resta salva l’ipotesi in cui, in data antecedente alla scadenza del debito, sia intervenuto un provvedimento del Tribunale che abbia vietato il pagamento di crediti anteriori, poiché in questo caso sarebbe configurabile la scriminante dell’adempimento di un dovere sancito dall’ art. 51 c.p., derivante da norme poste a tutela di interessi aventi anche rilievo pubblicistico, equivalenti a quelli di carattere tributario (cfr. Cass. nn. 49795/2018 e 2860/2019).
È, questo, un orientamento differente da quello recentemente sposato dalla Cassazione nella sentenza n. 36320/2019, secondo cui “una volta intervenuto il provvedimento di ammissione del debitore al concordato, anche le pregresse condotte omissive, consistenti in omessi pagamenti di obbligazioni giunte a maturazione nell’intervallo fra la presentazione della istanza e la sua positiva evasione da parte dell’organo giurisdizionale a ciò preposto, cessano, laddove mai in precedenza esse la avessero avuta, di avere rilevanza penale, atteso che tali condotte neppure possono essere considerate compiute contra ius in quanto legittimate, a tutto voler concedere a posteriori, dall’avvenuta ammissione alla procedura concorsuale”.
La pronuncia in commento si pone, così, nella scia molto restrittiva della giurisprudenza in materia di “crisi di liquidità”. Essa, infatti, precisa che la domanda di concordato preventivo è conseguenza della crisi di impresa e non può attribuirsi efficacia sostanzialmente scriminante a una domanda presentata dallo stesso imputato che abbia provocato il dissesto. Diversamente opinando, si dovrebbe concludere che il soggetto responsabile, con la mera presentazione della domanda di concordato prima della scadenza del termine per il versamento delle imposte rilevante a fini penali, possa evitare di incorrere in responsabilità penale.
Ne consegue che spetta all’imprenditore in crisi, che sa di avere un debito fiscale che verrà a scadenza certa, ponderare la miglior soluzione della crisi di impresa e valutare in tale ambito anche le conseguenze penali della eventuale omissione del pagamento del debito, non potendo opporre, per escludere la sua penale responsabilità, unicamente l’aver dato corso alla procedura negoziale di risoluzione della crisi d’impresa.
Discorso analogo può essere fatto nel caso di reato di omesso versamento IVA (ex art. 10-ter del DLgs. 74/2000), su cui tra l’altro va richiamato l’art. 182-ter del RD 267/1942, come modificato dalla L. 232/2016, che consente di includere nel concordato preventivo anche il debito relativo all’IVA.
In proposito, con la citata pronuncia n. 13327/2020, i giudici di legittimità si soffermano sui limiti della scriminante prevista dall’art. 51 c.p., ritenendo – anche per questa fattispecie – che per la sua operatività è imprescindibile l’anteriorità della procedura di composizione della crisi rispetto alla scadenza del debito fiscale.