Dubbio il rapporto tra l’art. 91 del Cura Italia e l’impossibilità sopravvenuta della prestazione

Di Cecilia PASQUALE

La legge di conversione del DL 18/2020 ha confermato il testo dell’art. 91 comma 1 che, aggiungendo il comma 6-bis all’art. 3 del DL 6/2020, ha disposto che il rispetto delle misure di contenimento di cui al decreto “è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi versamenti”.

Come già osservato, la norma, pur con una formulazione non cristallina, introduce la possibilità (non un automatismo) che il rispetto delle misure di gestione dell’emergenza faccia venire meno la responsabilità del soggetto inadempiente (si veda “Le misure anti coronavirus possono far venir meno la responsabilità per inadempimento” del 23 marzo 2020); in questo modo, il legislatore intende limitare le conseguenze giuridiche dell’inadempimento che sia determinato da un impedimento non imputabile alla sfera di rischio del debitore.

Al momento, la norma non è stata ancora oggetto di applicazione da parte dei giudici e ciò non consente di verificare le modalità concrete attraverso cui la valutazione sarà effettuata. Resta incerto, in particolare, come la norma si coordini con le disposizioni del codice civile e, soprattutto, con l’impossibilità sopravvenuta della prestazione.

Secondo l’interpretazione più diffusa nei primi commenti alla disposizione, la norma del Cura Italia attesterebbe che il rispetto delle misure di contenimento costituisce un evento non imputabile al debitore ai fini della dimostrazione dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione, secondo quanto richiesto dall’art. 1218 c.c., a mente del quale la responsabilità del debitore è esclusa se è provato che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

La disposizione, dunque, non manderebbe automaticamente esente da responsabilità il debitore, in quanto nulla è detto sugli altri elementi che occorre dimostrare ai fini della prova dell’impossibilità sopravvenuta, ossia che l’evento sopravvenuto ha realmente compromesso l’adempimento (e non si è limitato a rendere più difficoltosa la prestazione) e che l’obbligato ha tenuto un adeguato livello di diligenza.

Il debitore colpito dalle misure di contenimento dell’emergenza non sarebbe esonerato dalla prova di queste ulteriori circostanze, la cui dimostrazione dovrà tenere conto delle caratteristiche e della natura della prestazione da eseguire (ad esempio, le prestazioni pecuniarie potrebbero essere eseguite anche in presenza di misure di contenimento, mentre alcune prestazioni di fare potrebbero essere materialmente impedite dalle limitazioni in essere).

Secondo questa lettura, la norma ha una mera funzione di indirizzo e non introduce una novità sostanziale, posto che gli strumenti predisposti dal codice civile consentono di ottenere il medesimo risultato, con l’unico aggravio per il debitore di dovere dimostrare l’imprevedibilità e la non imputabilità dell’evento (caratteri che, in ogni caso, difficilmente potrebbero negarsi all’epidemia in corso).

Per altro verso, vi è chi ha sostenuto che l’art. 91 comma 1 del DL 18/2020 convertito non si porrebbe in rapporto di specialità rispetto alla disciplina dell’impossibilità sopravvenuta ma introdurrebbe una (eccezionale) possibilità per il giudice, ossia quella di valutare, in caso di inadempimento dettato dalle misure anti COVID-19, le circostanze del caso concreto e individuare il rimedio più opportuno, ad esempio fissando un nuovo termine di scadenza dell’obbligazione, o sospendendo la prestazione.

Pur ritenendo più convincente la prima ricostruzione, occorre in ogni caso evidenziare che la previsione del Cura Italia richiama gli artt. 1218 e 1223 c.c. in tema di esclusione o riduzione del risarcimento del danno e non fa riferimento all’estinzione dell’obbligazione (art. 1256 c.c.) o alla risoluzione del contratto (art. 1463 c.c.), che sono le conseguenze dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione.

Ciò dovrebbe portare a ritenere che le misure di contenimento possono costituire una causa di riduzione del danno e non di risoluzione del contratto; ciò, peraltro, dimostrerebbe la condivisibile intenzione del legislatore di favorire la sopravvivenza dei rapporti contrattuali (se possibile e rispondente all’interesse delle parti) piuttosto che il loro scioglimento.

Sembra, invece, condivisa l’applicabilità della norma ai contratti privati. Il richiamo ai contratti pubblici contenuto nella rubrica della disposizione, infatti, dovrebbe riguardare solo il secondo comma della disposizione, in tema di anticipazione del prezzo, posto che il comma 6-bis, introdotto dall’art. 91 comma 1, integra una disposizione (l’art. 3 del DL 6/2020) in cui non vi è nessun riferimento ai contratti pubblici, che è presente, invece, all’art. 91 comma 2.