Nel calcolo del reddito complessivo rilevante ai fini della fruizione del beneficio vengono inclusi solo i redditi da cedolare secca
La sollecitudine con la quale Ministero del Lavoro e Ministero dell’Economia hanno predisposto il decreto attuativo dell’art. 44 del DL 18/2020 è un segno di attenzione verso le professioni ordinistiche che merita di essere sottolineato. Così come merita di essere sottolineato il coinvolgimento delle casse di previdenza ai fini dell’erogazione delle indennità, scelta che lascia ben sperare sulla tempistica dei pagamenti.
Restano tuttavia perplessità sulle decisioni politiche di fondo e dubbi di ordine tecnico sui quali, in occasione dei prossimi interventi, sarebbe opportuno intervenire.
Con riferimento al primo aspetto, mentre per la generalità dei lavoratori autonomi con contribuzione INPS si è deciso di riconoscere un’indennità di 600 euro “flat” che prescinde da qualsiasi valutazione di natura patrimoniale o reddituale, per quanto riguarda i soggetti iscritti ad albo, si è introdotta una soglia reddituale non particolarmente elevata, peraltro da rapportare al reddito complessivo (si veda “Definita l’indennità di 600 euro per i professioni con Casse private” di oggi).
Senza entrare nel dibattito che vorrebbe escluse le professioni ordinistiche dall’indennità INPS in ragione dei compiti specifici delle rispettive casse di previdenza e assistenza, la vicenda dell’applicazione dell’art. 44 dimostra che c’erano tempo e modi per introdurre criteri di accesso più selettivi anche per l’indennità degli altri lavoratori autonomi, non limitandosi a sperare nel senso di responsabilità delle persone, come dichiarato dal Ministro Gualtieri.
Venendo alle questioni di natura tecnica, un primo aspetto sul quale vale la pena soffermarsi è il richiamo al reddito complessivo relativo al 2018, ultimo anno per il quale sono disponibili le dichiarazioni, al fine di controllare il contenuto dell’autocertificazione resa dai professionisti. Il riferimento al 2018 è scelta comprensibile sul piano pratico, ma non su quello sostanziale, dal momento che in un anno le cose possono cambiare, anche di molto.
Occorre poi ricordare che, ai sensi dell’articolo 8 comma 1 del TUIR, il reddito complessivo si determina sommando i redditi di ciascuna categoria reddituale ex articolo 6 del TUIR e consiste quindi non solo nel reddito di lavoro autonomo ma, potenzialmente, anche in altri redditi (es. redditi fondiari, redditi diversi), con la conseguenza che, in presenza di altri redditi significativi, un professionista con redditi di lavoro autonomo marginali non può accedere al beneficio.
Il decreto prevede poi che il reddito complessivo debba essere assunto al lordo dei canoni di locazione assoggettati a cedolare secca. Si tratta di una previsione non immediatamente comprensibile, dal momento che il reddito assoggettato a cedolare secca, per espressa previsione normativa, assume rilevanza ai fini delle disposizioni che fanno riferimento al possesso di requisiti reddituali, per l’attribuzione o per la determinazione di benefici di qualsiasi titolo, anche di natura non tributaria. (art. 3 comma 7 del DLgs. 23/2011).
Per dare un senso a quanto scritto nel decreto si dovrebbe concludere che l’indennità in questione non consiste in un beneficio in senso proprio, ma in un’indennità di natura risarcitoria non disciplinata dalla norma istitutiva della cedolare secca. Con la conseguenza, per certi aspetti sorprendente, che dovrebbero essere esclusi dal reddito complessivo i redditi dei forfetari, dal momento che non sono menzionati dal decreto.
È vero che, anche in questo caso, l’art. 1 comma 75 della L. 190/2014 prevede che quando le vigenti disposizioni fanno riferimento, per il riconoscimento di agevolazioni anche di natura non tributaria, al possesso di requisiti reddituali, si tiene comunque conto anche del reddito assoggettato al regime forfetario, ma tale formulazione non sembrerebbe applicabile al caso di specie, per quanto sopra espresso con riferimento ai redditi derivanti da cedolare secca. Pertanto delle due l’una:
– o dovevano essere menzionati nel decreto anche i forfetari;
– o non dovevano essere menzionati i canoni assoggettati a cedolare in quanto la norma primaria era già sufficiente ad includerli.
Naturalmente l’esclusione dal conteggio dei redditi da regime forfetario appare poco razionale sul piano sistematico e quindi è lecito attendersi una correzione del testo o un’interpretazione estensiva dello stesso.
Un secondo aspetto sul quale soffermarsi è il rapporto tra le due ipotesi previste dall’art. 1 del decreto alle lettere a) e b).
Nel primo caso (lettera a) spetta l’indennità se il reddito del 2018 non è superiore a 35.000 euro e se l’attività è stata limitata dai provvedimenti restrittivi emanati in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19.
Nel secondo caso (lettera b) spetta l’indennità se il reddito è compreso tra 35.000 euro e 50.000 euro e se il professionista ha cessato o ridotto o sospeso la sua attività in conseguenza della medesima emergenza.
Premesso che ai sensi dell’art. 1 del DL 19/2020, le attività professionali non sono sospese e che la stessa norma fa salve le sole restrizioni di cui all’art. 1, punto 7 del DPCM 11 marzo 2020 (lavoro agile, protocolli di sicurezza, etc.), non è chiaro quale sia l’ambito applicativo della disposizione. Si potrebbe ritenere che il decreto faccia riferimento a quelle ordinanze dei Presidenti di regione che hanno ristretto l’attività professionale, ma tali ordinanze sembrerebbero superate dal citato DL 19/2020.
Fermo restando che anche su questo punto dovrebbero intervenire al più presto chiarimenti ufficiali, una possibile spiegazione del rapporto fra le due disposizioni potrebbe essere la seguente:
– fino ad un reddito complessivo di 35.000 euro il decreto richiede che il professionista abbia subito una riduzione dell’attività non in quanto destinatario di specifici provvedimenti restrittivi, ma in quanto i suoi clienti lo sono stati;
– da 35.000 euro fino a 50.000 euro di reddito il decreto prevede un maggior rigore, richiedendo la chiusura dell’attività o una riduzione del reddito di almeno il 33% rispetto al primo trimestre del 2019.