La categoria critica sul decreto «Cura Italia», a partire dalla disparità di trattamento su accertamenti e indennità
Pur riconoscendo l’eccezionalità del momento e la necessità di “accompagnare più che criticare” il Governo nell’adozione di scelte comunque complicate, il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili non rinuncia a sottolineare che con il decreto “Cura Italia” si sarebbe potuto fare di più.
“A cominciare – ha spiegato Massimo Miani, Presidente del CNDCEC, in una nota stampa diffusa ieri – dallo sblocco della compensazione dei crediti per imposte dirette anche prima della presentazione della dichiarazione, rimuovendo il vincolo introdotto con l’ultima legge di bilancio che, nella situazione d’emergenza in atto, risulta ora del tutto anacronistico. Oppure dalla mancata sospensione per le rate in scadenza relativi agli avvisi bonari”.
Secondo i commercialisti, sarebbero servite misure “più coraggiose e di più ampio respiro, anche sotto il profilo temporale”. Certo, il Ministro dell’Economia Gualtieri ha spiegato che alcuni provvedimenti potranno ancora essere adottati attraverso decreti successivi, ma al momento diversi interventi, “se non adeguatamente estesi o prorogati, rischiano di assumere il sapore della beffa”.
Il riferimento del numero uno dei commercialisti è alla sospensione dei soli versamenti in scadenza nel mese di marzo per i soggetti con ricavi o compensi non superiori a 2 milioni di euro e alla non applicazione della ritenuta sugli incassi dei soli ultimi quindici giorni di marzo per i soggetti con ricavi o compensi non superiori a 400 mila euro (sempre che non si abbiano dipendenti o collaboratori).
Ci sono poi misure “francamente inaccettabili”, come quelle che contemplano la sospensione dei termini processuali tributari e la proroga dei termini di accertamento. “Il decreto – ha sottolineato Miani esprimendo un giudizio condiviso anche dai sindacati – concede agli enti impositori, in aperto contrasto con il principio del giusto processo, un periodo di sospensione dei termini processuali di un mese e mezzo più lungo rispetto a quello stabilito per i contribuenti: fino al 31 maggio, per gli enti impositori, soltanto fino al 15 aprile, per i contribuenti”.
Allo stesso modo, “la proroga di due anni dei termini di accertamento in favore degli enti impositori risulta del tutto sproporzionata rispetto ai brevissimi periodi di sospensione dei termini previsti in favore dei contribuenti”. Secondo i commercialisti, vengono usati “due pesi e due misure” in modo talmente macroscopico che è difficile da giustificare.
Rimanendo in tema di disparità di trattamento ha fatto molto discutere anche la norma che esclude i professionisti iscritti alle casse di previdenza private dall’indennità di 600 euro prevista per i lavoratori autonomi. Stando all’ultima bozza di decreto circolata (al momento di chiudere il numero di oggi del quotidiano il DL non risulta ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale, ma è stato bollinato dalla Ragioneria generale dello Stato, inviato al Colle per la firma ed è atteso in un’annunciata edizione straordinaria notturna), per i professionisti ordinistici ci sarebbe a disposizione un fondo residuale di 300 milioni (“Fondo per il reddito di ultima istanza”), da condividere, però, con tutti gli altri soggetti a cui non spetta l’indennità di 600 euro, inclusi i lavoratori dipendenti.
“Prendiamo atto – ha commentato Walter Anedda – che ci sono professionisti che possono attingere alla fiscalità collettiva e altri no, ancorché siano tra i principali sovvenzionatori di quella fiscalità, sia come singoli professionisti che come Casse”. A prescindere dalla disparità di trattamento, al Presidente della Cassa dottori commercialisti è proprio il provvedimento in sé a non convincere: “Dare 600 euro a testa – ha sottolineato –, senza alcuna altra valutazione, è solo un intervento demagogico, perché oggi iscritto alla Gestione separata INPS c’è l’ad di qualunque multinazionale così come l’ultimo dei professionisti. Come Cassa non adotteremo mai un meccanismo di questo genere”.
L’esclusione dei professionisti ordinistici dall’erogazione dell’indennità, ha aggiunto Luigi Pagliuca, Presidente della Cassa Ragionieri, è il “retaggio di un’immagine, ormai superata, che vuole i professionisti come i veri ricchi. In realtà, oggi, la maggior parte fatica a sbarcare il lunario e, se ne avesse la possibilità, non esiterebbe ad abbandonare la professione in luogo del posto fisso”.
Entrambi gli enti hanno già messo a punto una serie di misure a favore degli iscritti colpiti dall’emergenza. La CNPADC ha sospeso il pagamento dei contributi e si prepara a sostenere finanziariamente i colleghi più in difficoltà, che potranno presentare apposita istanza documentando la loro situazione. La CNPR, invece, confermerà le scadenze di pagamento, eliminando però le sanzioni per chi non dovesse riuscire a pagare in tempo. In questo modo, chi è in condizione di pagare lo potrà fare e questo permetterà anche all’ente di adottare misure ancora più incisive per chi è in difficoltà. Tra queste, la possibilità di fare da garante presso gli istituti di credito, per fare sì che gli iscritti possano accedere a prestiti o finanziamenti che, altrimenti, sarebbero preclusi.