Gli spostamenti saranno consentiti solo per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità, motivi di salute

Di Barbara SESSINI e Elisa TOMBARI

Tutta Italia sarà “zona protetta”. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha firmato ieri un nuovo provvedimento che estende all’intero territorio nazionale le misure già prese per la Lombardia e le altre 14 Province col DPCM 8 marzo 2020. Gli spostamenti saranno consentiti solo per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità, motivi di salute.

In tutte le altre ipotesi è necessario non spostarsi. Vengono vietati gli assembramenti, le manifestazioni sportive saranno sospese e non sarà possibile utilizzare le palestre.

Le misure, ha spiegato Conte ieri durante la conferenza stampa, saranno uniformi su tutto il territorio nazionale e si sono rese necessarie a causa della crescita importante dei contagi da coronavirus, dai ricoveri in terapia intensiva e subintensiva e dei decessi. Il Presidente del Consiglio ha annunciato la pubblicazione del DPCM 9 marzo 2020 nella Gazzetta Ufficiale di ieri: entrerà in vigore già oggi fino al 3 aprile 2020.

Per quanto riguarda gli spostamenti concessi, Conte ha confermato che è possibile giustificare i propri movimenti con l’autocertificazione che però, naturalmente, deve essere veritiera. Per quanto riguarda i trasporti, invece, per ora non è prevista nessuna limitazione. “Cerchiamo di garantire la continuità del sistema produttivo – ha spiegato Conte – e quindi dobbiamo consentire alle persone di poter andare a lavorare”.

Per quanto riguarda le “comprovate esigenze lavorative” si segnala la lettura della formula fatta dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro con la circolare n. 5 pubblicata ieri, riferita al DPCM 8 marzo 2020 ma che potrebbe considerarsi valida su tutto il territorio nazionale.

Secondo la Fondazione, l’espressione “comprovate esigenze lavorative” è da intendersi nel senso che la mobilità è comunque consentita per effetto di qualsiasi “esigenza lavorativa” per la quale sia necessario “accedere o muoversi all’interno delle zone individuate con il DPCM, a prescindere da qualsiasi distinzione rispetto al tipo di attività lavorativa”. In pratica, per giustificare lo spostamento, non occorre che l’esigenza lavorativa abbia carattere urgente, eccezionale o indifferibile, ma sarà sufficiente che il cittadino compili l’apposita autodichiarazione, utilizzando i moduli forniti dalle forze di polizia.

Ove possibile, è comunque preferibile procedere con l’attivazione dello smart working (si veda “Lo smart working per coronavirus non è un obbligo per l’azienda” del 28 febbraio 2020) e con la promozione, da parte dei datori di lavoro pubblici e privati, della fruizione da parte dei lavoratori dipendenti dei periodi di congedo ordinario e di ferie.

In proposito, giova ricordare che, per far fronte alla diffusione dell’epidemia, il legislatore ha introdotto alcune semplificazioni per favorire in tempi brevi un maggiore ricorso allo smart working; in particolare, l’art. 2 del DPCM 25 febbraio 2020 ne ha prevista l’attivazione “semplificata”, anche in assenza di accordo scritto, con una semplice comunicazione al lavoratore e la possibilità assolvere gli obblighi di informativa in materia di sicurezza sul lavoro in via telematica, anche utilizzando la documentazione rinvenibile sul sito dell’INAIL.

Inizialmente prevista solo fino al 15 marzo 2020 per un numero limitato di Regioni italiane, i DPCM del 1° marzo 2020 e del 4 marzo 2020 hanno ulteriormente ampliato e integrato tale semplificazione consentendone il ricorso in tutto il territorio nazionale e per la durata dello stato di emergenza, prevista fino al 31 luglio 2020.