Nel caso analizzato dalla Cassazione il soggetto era amministratore di una società cartiera
Anche l’amministratore di fatto può rispondere per le sanzioni fiscali irrogate alla società quando la stessa non è altro che una cartiera costituita solo per scopi personali o comunque per commettere frodi.
Lo ha stabilito la Cassazione che, con l’ordinanza n. 1904/2020, ha respinto, sul punto, il ricorso dell’amministratore di fatto di una società schermo che si era visto notificare le sanzioni fiscali per l’uso e l’emissione di fatture false.
La C.T. Prov. rigettava il ricorso con sentenza poi riformata dalla C.T. Reg., che aveva ritenuto superflua l’allegazione del processo verbale di constatazione all’avviso di accertamento societario notificato all’amministratore (che ne riportava il contenuto essenziale), nonché corretto l’operato dell’Agenzia delle Entrate che aveva contestato all’amministratore non solo le sanzioni (stante l’artificiosa costituzione della società), ma anche le maggiori imposte accertate.
La Cassazione accoglie parzialmente il ricorso del contribuente. Quanto alle maggiori imposte accertate a carico della società la Suprema Corte ricorda che l’amministratore (anche di fatto) risponde in solido solo nelle specifiche ipotesi, non ricorrenti nel caso di specie, individuate dall’art. 36 del DPR 602/73.
Quanto al profilo sanzionatorio la doglianza del contribuente, che contestava la violazione dell’art. 7 del DL 269/2003 conv. L. 326/2003, è stata rigettata.
Per i giudici di legittimità, normalmente, le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, ex art. 7 del DL n. 269/2003, sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando sia gestita da un amministratore di fatto, non potendosi fondare un eventuale concorso di quest’ultimo nella violazione fiscale sul disposto di cui all’art. 9 del DLgs. n. 472/97, che non può costituire deroga al predetto art. 7, a esso successivo. L’art. 7, invece, prevede l’applicabilità delle disposizioni del DLgs. n. 472, ma solo in quanto compatibili.
Tale principio, tuttavia, non può ritenersi operante anche nell’ipotesi di società artificiosamente costituita (cfr. Cass. n. 4775/2016 e, da ultimo, nn. 25284/2017 e 28331/2018).
Infatti, il menzionato art. 7 intende regolamentare le ipotesi in cui vi sia una differenza tra trasgressore e contribuente, e, in particolare, l’ipotesi di un amministratore di una persona giuridica che, in forza del proprio mandato, compie violazioni nell’interesse della persona giuridica medesima, ma non nel caso in cui la persona fisica sia “esclusivo beneficiario delle violazioni contestate”, nel qual caso “non sussiste detta differenza, atteso che quest’ultimo è, al tempo stesso, trasgressore e contribuente, e la persona giuridica è una mera fictio, creata nell’esclusivo interesse della persona fisica” (cfr. Cass. nn. 5924/2017 e 10975/2019).
In altri termini, solo in caso di società-schermo (costituite solo con finalità di frode) la responsabilità va attribuita all’amministratore.
Nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate aveva ben evidenziato come il contribuente (destinatario dell’avviso di accertamento emesso a carico della società) fosse amministratore di fatto di una cooperativa utilizzata come cartiera, ovvero solo per evadere il Fisco.
Di conseguenza la Cassazione, decidendo nel merito, ha accolto solo in parte il ricorso del contribuente, annullando l’avviso di accertamento impugnato limitatamente alle maggiori imposte.
Normalmente, dunque, l’amministratore di fatto non risponde delle sanzioni tributarie irrogate alla società di capitali. Ciò a meno che la società non sia fittizia, ma l’Amministrazione finanziaria deve dedurre durante il giudizio che la compagine è stata creata nell’interesse esclusivo del contribuente (cfr. da ultimo Cass. n. 32594/2019). In quella circostanza, infatti, l’Amministrazione finanziaria non aveva contestato nelle proprie difese la questione della fittizietà della società.