Anche il rappresentante comune, che ha agito in giudizio, può continuare a operare

Di Maurizio MEOLI

Il Tribunale di Milano, nella sentenza del 24 aprile 2019, ha stabilito che, in esito a una fusione per incorporazione, la categoria degli azionisti di risparmio dell’incorporata non sopravvive, ma certamente sopravvivono i diritti di cui essi erano titolari prima e a causa della fusione; di conseguenza, ove questi diritti siano stati fatti tempestivamente valere, continuano a esistere insieme alla figura, e alla correlata legittimazione, del rappresentante di tali azionisti che li abbia ritualmente esercitati nello svolgimento dell’incarico a tal fine ricevuto.

In particolare, in caso di incorporazione di una società con azionisti di risparmio in un’altra, anch’essa caratterizzata dalla presenza di una simile categoria di azionisti, i diritti patrimoniali correlati all’azione di risarcimento del danno esperita, ex art. 2504-quater comma 2 c.c., per la pretesa erroneità e inadeguatezza del rapporto di concambio dal proprio rappresentante comune, impugnando la deliberazione di fusione, devono poter sopravvivere intatti fino a quando il giudice competente non abbia accertato, in via definitiva, esistenza e consistenza del danno stesso; e, in caso di esito positivo della causa, fino a quando non si pervenga – anche coattivamente – a effettiva soddisfazione. Solo a partire da questo momento si potrà configurare la cessazione dalla carica del rappresentante comune.

Per garantire tale possibilità – ferma restando la concomitante legittimazione individuale degli azionisti di risparmio a far valere personalmente i propri diritti conformemente al principio generale che emerge dalle disposizioni dettate dagli artt. 2395 (sull’azione individuale del socio o del terzo) e 2419 c.c. (che non preclude le azioni individuali degli obbligazionisti, salvo che queste siano incompatibili con le deliberazioni dell’assemblea previste dall’art. 2415 c.c.) – è necessario assicurare il funzionamento della loro organizzazione separata e, quindi, la presenza del rappresentante comune, ex art. 147 del DLgs. 58/1998, anche oltre i limiti temporali di permanenza della stessa.

Ci si trova, infatti, di fronte a un presidio legale teso ad assicurare effettività e uguaglianza di tutela a una categoria di azionisti/investitori per sua natura “dispersa”, e quindi agevole oggetto di condotte prevaricatrici dalle quali i singoli “risparmisti” non sono normalmente in grado di reagire individualmente.

Di conseguenza, qualora il rappresentante comune, in forza di quanto espressamente riconosciutogli dagli artt. 147 del DLgs. 58/1998 e 2418 c.c., dovesse dare esecuzione a un mandato assembleare esercitando l’azione di risarcimento del danno contro la società incorporante per la erroneità e inadeguatezza del rapporto di concambio, ma, successivamente, per una qualsiasi ragione, e in particolare per l’attuazione di una decisione dell’assemblea degli azionisti ordinari, la categoria azionaria speciale dei “risparmisti” dovesse cessare di esistere, ciò non potrebbe comportare l’improcedibilità dell’azione già intentata sull’assunto di una sopravvenuta carenza di legittimazione degli azionisti di risparmio e, per essi, del loro rappresentante comune.

Così ragionando, infatti, si finirebbe per riconoscere al soggetto “controinteressato” (ovvero alla maggioranza assembleare degli azionisti ordinari) un diritto sostanzialmente potestativo di eliminare una tutela che la legge riconosce, invece, espressamente agli azionisti di risparmio.
Tale conclusione non può essere contestata prospettando un trasferimento della legittimazione in discorso in capo al rappresentante comune degli azionisti della medesima categoria ma della società incorporante. Così procedendo, infatti, si finirebbe comunque per riconoscere a tale ultimo soggetto un diritto rispetto al quale l’organizzazione speciale da lui rappresentata e tutelata risulta (anch’essa) per definizione controinteressata.

A ogni modo, poi, la suddetta conclusione appare conforme al fatto che la successione a titolo universale disegnata dall’art. 2504-bis comma 1 c.c., e che caratterizza la fusione, riguarda i diritti e – nei limiti della ragionevole trasferibilità – i rapporti giuridici dell’incorporante e dell’incorporata, senza, tuttavia, consentire di ritenere che il medesimo principio si debba estendere ai diritti di cui gli azionisti delle società (a qualunque categoria appartengano) erano personalmente titolari al momento della fusione. Tali diritti, quindi, afferma la decisione in commento, in coerenza con la natura modificativa e non estintiva della fusione, restano intatti.

E allora, se è vero che la tutela degli effetti della fusione è tendenzialmente assoluta, è anche vero che presenta proprio il limite della tutela risarcitoria degli azionisti che se ne ritengano danneggiati. Il soggetto preposto alla loro tutela collettiva, allora, sopravvive all’estinzione della società incorporata proprio, e soltanto, nei limiti della prorogatio della sua legittimazione ad agire funzionale al conseguimento (o al disconoscimento) giudiziale del risarcimento del danno ex art. 2504-quater comma 2 c.c.