Lo annuncia la Sottosegretaria al MEF Guerra, che difende la ratio del provvedimento. Commercialisti: “Serve più ascolto”

Di Savino GALLO

Il limite dei 30 mila euro di reddito da lavoro dipendente, previsto dalla L. 160/2019 come causa ostativa per l’accesso al regime forfetario, farà riferimento ai redditi prodotti nel 2019. Nel corso del convegno nazionale dell’ANC, tenutosi ieri a Roma, la Sottosegretaria al MEF, Maria Cecilia Guerra, sembra smentire quanto preannunciato la scorsa settimana dal parigrado Alessio Villarosa. Rispondendo a due interrogazioni durante un question time in Commissione Finanze della Camera, quest’ultimo aveva spiegato che il tema era allo studio del Governo e che ci fosse la volontà di risolvere le problematiche sorte attraverso un provvedimento da inserire nel Milleproroghe (si veda “Attesa sulle iniziative del Governo per il regime forfetario” del 23 gennaio).

Diversa, invece, la posizione espressa ieri da Guerra che, nel corso del suo intervento, ha difeso la ratio del provvedimento e rispedito al mittente le accuse di chi ritiene che, introducendo clausole di esclusione alla fine dell’anno a cui si fa riferimento in termini di produzione del reddito, si sia violato lo Statuto del contribuente e il principio del legittimo affidamento.
“Non si capisce perché – ha spiegato –, se sono un lavoratore dipendente e faccio una consulenza, io debba essere tassato al 15%. È uno snaturamento della logica di un sistema che è pensato per i lavoratori autonomi e le piccole imprese, che restano assolutamente dentro, ma non per i lavoratori che fanno altro nella vita”.

Quanto ai problemi legati all’operatività delle clausole di esclusione, secondo Guerra si tratta di “problemi creati ad arte. Non si può pensare – ha aggiunto – che sia contro lo Statuto del contribuente modificare le condizioni di accesso a un regime, perché tale modifica non introduce nuovi adempimenti a carico dei contribuenti interessati. Non è impossibile per un lavoratore dipendente o un pensionato sapere quanto ha guadagnato al 31 dicembre scorso, visto che per questi redditi vige un regime di cassa”.
Sulla mancata possibilità di scelta in capo ai contribuenti, dato che il limite di reddito è stato introdotto dopo che quel reddito è stato prodotto, la Sottosegretaria si è invece limitata a rispondere che “non è questa la logica” a cui può far riferimento il Governo contemplando una modifica al regime fiscale.

L’esponente del MEF si è poi soffermata anche sull’eliminazione del regime agevolato per le partite IVA con redditi compresi tra 65 e 100 mila euro e sull’abbattimento del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti. “Quel regime – ha sottolineato – creava problemi di equità ed efficienza. A parità d reddito, un lavoratore autonomo poteva arrivare a pagare fino a 9-10 mila euro in meno rispetto al lavoratore dipendente, e questo non è sostenibile. In più, si creava un incentivo alle disgregazioni degli studi e un disincentivo all’aumento dei ricavi. Da 100 a 110-112 mila euro si incontrava un’aliquota marginale superiore al 100%. Questo significa non saper scrivere le norme fiscali”.

Riguardo, invece, agli interventi sul cuneo fiscale, diversi rappresentanti della politica presenti al convegno, tra cui Andrea De Bertoldi di FdI e Alberto Gusmeroli della Lega, hanno fatto notare come, ancora una volta, ci si sia dimenticati dei lavoratori autonomi. A tal proposito Guerra ha spiegato che, a oggi, i lavoratori dipendenti e pensionati rappresentano “l’85% della base imponibile IRPEF”. Quindi, “si è deciso di partire dalle categorie più svantaggiate”, allargando però la platea dei soggetti interessati fino ai redditi medi.

Ad ogni modo, l’obiettivo finale è quello di intervenire sui “punti critici dell’IRPEF, ovvero lo sbalzo di aliquote tra secondo e terzo scalino di reddito”. Un intervento che, “a regime, interesserà tutti i soggetti che ricadono in quello scaglione”, quindi anche i lavoratori autonomi.

Bisognerà fare qualcosa, ha rimarcato Marco Cuchel, Presidente dell’ANC, anche dal punto di vista della semplificazione fiscale, che “anche con questa manovra non c’è stata, se non per la modifica alla cadenza dell’esterometro (che da mensile diventa trimestrale, ndr)”. Si tratta, ha aggiunto, di una questione di rispetto nei confronti dei professionisti che lavorano in questo settore. Discorso valido anche per la concessione della rimessione in termini ai commercialisti che hanno aderito allo sciopero dello scorso settembre, “un atto dovuto” che a oggi non è ancora arrivato.

Ci si aspettava di più anche sul tema dell’equo compenso. L’auspicio è che novità in questo senso possano arrivare con la conversione in legge del Milleproroghe. C’è, infatti, un emendamento, presentato da Chiara Gribaudo del Pd, che punta a rafforzare la norma già esistente, imponendo la nullità di tutti i contratti che non ne rispettano le prescrizioni.