Il mancato pagamento deve però riguardare il solo aumento di capitale
La Cassazione, nella sentenza n. 1185, depositata ieri, risolvendo una discussa questione, ha stabilito che, nel caso di mora del socio nell’esecuzione dei versamenti dovuti alla società a titolo di conferimento per il debito da sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale deliberato dall’assemblea nel corso della vita della società, il socio non può essere escluso, essendo egli titolare della partecipazione sociale sin dalla costituzione della società; pertanto, ferma la permanenza del socio in società per la quota già posseduta, l’assemblea deve deliberare la riduzione del capitale sociale solo per la misura corrispondente al debito di sottoscrizione derivante dall’aumento non onorato, fatto salvo solo il caso in cui lo statuto preveda l’indivisibilità della quota.
Innanzitutto, il procedimento di cui all’art. 2466 c.c. trova applicazione anche quando il debito del socio rimasto insoddisfatto derivi dalla sottoscrizione in sede di aumento di una quota di capitale (nel medesimo senso si vedano anche App. Bologna 16 gennaio 2018, la massima n. 55/2015 del Consiglio notarile di Firenze e lo Studio n. 5396/I/2005 del Consiglio nazionale del Notariato). Esso, infatti, mira alla tutela della situazione patrimoniale della società; tutela che non può essere limitata al solo momento della costituzione, essendo applicabile, in via diretta e non estensiva o analogica, all’esecuzione dei conferimenti in sede di successivo aumento del capitale sociale.
Ai sensi dell’art. 2466 comma 3 c.c., poi, “se la vendita non può aver luogo per mancanza di compratori, gli amministratori escludono il socio, trattenendo le somme riscosse. Il capitale deve essere ridotto in misura corrispondente”. Ci si trova, quindi, in presenza di una riduzione “nominale”, per la parte non versata, ma “reale”, per quella già versata.
Problematica si presenta, però, l’ipotesi in cui il socio, già titolare di una partecipazione integralmente liberata, la incrementi sottoscrivendo un aumento di capitale, versando il 25%, ma risultando moroso rispetto al residuo. Ci si è chiesti, infatti, se sia necessario procedere alla vendita della sola porzione non liberata o dell’intera partecipazione.
Secondo la Corte d’Appello di Bologna del 16 gennaio 2018, dal riferimento normativo alla “esclusione” del socio deriverebbe che gli amministratori non potrebbero procedere al trasferimento della sola parte di quota sottoscritta in sede di aumento di capitale e rimasta non liberata a seguito di infruttuosa diffida ad adempiere e che il socio moroso non potrebbe essere considerato tale per la (sola) nuova quota sottoscritta.
Secondo il Tribunale di Roma 22 gennaio 2019 tale conclusione conseguirebbe non già e non tanto dal concetto di “indivisibilità” della quota, quanto, piuttosto, dal concetto di “unitarietà” della partecipazione sociale in srl, secondo cui quest’ultima è unica ed esprime in modo unitario la posizione di quel determinato socio nella società.
In senso contrario si è espressa la massima n. 55/2015 del Consiglio notarile di Firenze, sul rilievo che la disciplina in questione è posta a tutela dell’effettività del capitale sociale, ed una scelta che pretenda di escludere il socio per l’intera sua partecipazione avrebbe sicuramente un impatto maggiore sulla società. Inoltre, dal fatto che ad ogni socio faccia capo un’unica partecipazione non discenderebbe l’assoluta indivisibilità della quota, che viene anzi ritenuta naturalmente divisibile (salvo diversa previsione dell’atto costitutivo).
Questa soluzione è stata reputata “preferibile” anche dallo Studio n. 5396/I/2005 del Consiglio nazionale del Notariato.
Queste ultime precisazioni sono ora riprese dalla Suprema Corte, che sottolinea, inoltre, come nella disposizione in questione non sia ravvisabile la ratio di permettere agli altri soci, in virtù dell’inesecuzione del conferimento, di escludere definitivamente il socio inadempiente dalla società. Essa, di contro, conformemente ai principi di buona fede e correttezza, autorizza l’annullamento della quota con corrispondente abbattimento del capitale solo per la frazione della partecipazione sociale sottoscritta in occasione dell’aumento del capitale sociale rimasto, in tutto o in parte, ineseguito.
Infatti, l’inadempimento del socio all’obbligo di versare quanto sottoscritto riguarda non l’intera quota, ma solo la porzione derivante dall’aumento di capitale. In tal modo, laddove, in esito al procedimento di cui all’art. 2466 c.c., si pervenga alla riduzione del capitale sociale, questa sarà operata solo per la parte corrispondente al conferimento dovuto in forza della sottoscrizione dell’aumento e non per l’intera misura della partecipazione, di cui il socio sia titolare.
Si realizza, così, un vantaggio per gli interessi della società e, più in generale, per la conservazione del valore del capitale sociale, nel rispetto della ratio dell’intero procedimento descritto dall’art. 2466 c.c.
Si ricorda, infine, come la decisione in commento stabilisca anche che il socio moroso di srl non è ammesso, secondo il disposto dell’art. 2466 c.c., ad esprimere il proprio voto nelle decisioni e deliberazioni assembleari, ma non perde anche il diritto di controllo sugli affari sociali, ai sensi dell’art. 2476 comma 2 c.c., sino a che egli resti parte della compagine societaria in esito al procedimento intrapreso dagli amministratori (cfr. anche App. Bologna 16 gennaio 2018).