Si moltiplicano le eccezioni di inadempimento, soprattutto da parte dei curatori fallimentari
Dalla violazione degli obblighi che incombono sul sindaco – che, ad esempio, in uno stato di insolvenza già conclamato resti inattivo rispetto all’obbligo di sollecitare l’organo amministrativo ad adottare le misure necessarie a scongiurare il dissesto, limitandosi a generiche raccomandazioni informative e a rimettere agli altri organi sociali le decisioni di competenza – possono derivare non solo importanti conseguenze in termini di responsabilità, ma anche la legittimità del rigetto, sulla base dell’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c., della pretesa di essere ammesso al passivo del successivo fallimento della società per i crediti professionali connessi allo svolgimento del relativo incarico.
Lo strumento contemplato dall’art. 1460 c.c., infatti, può spingersi fino a negare interamente il corrispettivo allorché il sindaco abbia violato gli obblighi professionali rendendosi inadempiente (cfr. Trib. Rimini 23 luglio 2019, Trib. Como 17 luglio 2018 e Cass. n. 15424/2018).
Questa impostazione è stata più di recente seguita da un’ altra ordinanza del Tribunale di Rimini (del 18 novembre 2019).
In essa, infatti, si è stabilito che non ha diritto ad alcun compenso il sindaco di una società fallita, incaricato del solo controllo di legalità, che, insediatosi in un momento in cui lo stato di insolvenza era già conclamato, e di lì a poco sarebbe divenuto irreversibile (con la revoca della licenza di volo, fondamentale per il conseguimento dell’oggetto sociale), si limiti a esercitare un mero controllo formale sugli atti posti in essere dall’amministratore unico, senza, tuttavia, concretamente prendere provvedimenti volti a porre in liquidazione la società, assumendo solo tardivamente (dopo circa due anni) l’iniziativa di denunciare gravi irregolarità ex art. 2409 c.c.
E infatti, a fronte di iniziative contra legem da parte dell’organo amministrativo di società, i sindaci hanno l’obbligo di porre in essere, “con tempestività”, tutti gli atti necessari e di utilizzare ogni loro potere di sollecitazione e denuncia, interna ed esterna alla società, sino a pretendere dagli amministratori le azioni correttive necessarie, non essendo sufficiente limitarsi a una blanda e inefficace critica (cfr. Cass. n. 21662/2018).
Il compito di sorveglianza attribuito dalla legge ai sindaci non è un potere di mero controllo formale, ma un dovere di intervento che, per essere efficace, non può che essere tempestivo. In particolare, il dovere di vigilanza imposto dall’art. 2403 c.c. si estende anche al potere-dovere di adottare tutti i comportamenti sostitutivi atti a porre rimedio alle irregolarità riscontrate, ivi comprese – in relazione alle specifiche situazioni – la tempestiva denuncia di gravi irregolarità al Tribunale, ai sensi dell’art. 2409 c.c., al fine di ottenere un controllo giudiziario della correttezza della gestione, o anche il promovimento dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori (cfr. Cass. n. 15424/2018).
Nella specie, quindi, il sindaco avrebbe dovuto fin da subito attivarsi per accertare l’effettiva possibilità di uscire dalla crisi in tempi ragionevoli, verificando, tempo per tempo, il permanere del necessario requisito della continuità aziendale. Inoltre, ove l’organo di controllo avesse tempestivamente rilevato la perdita della continuità aziendale, anche il bilancio sarebbe stato predisposto in ottica liquidatoria molto tempo prima.
È, di conseguenza, reputata fondata l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. formulata dal curatore del fallimento della società rispetto all’istanza del sindaco di ammissione del proprio credito allo stato passivo con privilegio (ex art. 2751-bis n. 2 c.c.).
Rispetto a tale decisione appare interessante evidenziare come tra i rilievi della curatela vi fosse anche la non opponibilità dei verbali del Collegio sindacale perché né sottoscritti dai componenti dell’organo di controllo né trascritti nel libro delle adunanze e delle deliberazioni dello stesso di cui all’art. 2421 comma 1 n. 5 c.c. La questione non viene, però, trattata dal Tribunale di Rimini perché non rilevante ai fini dell’accoglimento dell’eccezione di inadempimento.
Si osserva, peraltro, che, il Tribunale di Milano, nella sentenza n. 5841/2019, ha sottolineato come lo svolgimento dell’attività di controllo da parte del sindaco non possa essere provata tramite verbali delle riunioni del collegio prodotti in copia e redatti su fogli non bollati, né numerati.
Tale verbalizzazione non avviene direttamente nel libro delle adunanze e delle deliberazioni. I verbali, infatti, sono redatti al momento della riunione, o successivamente a essa, e debitamente sottoscritti dagli intervenuti, per poi essere tempestivamente trascritti nel suddetto libro, che deve essere tenuto a cura del collegio con modalità da esso determinate.
Al fine di poter dimostrare in qualunque momento l’attività svolta dal collegio, inoltre, si ritiene opportuno che ciascun sindaco conservi copia dei verbali del Collegio sindacale e della relativa documentazione di supporto, nonché dei verbali degli altri organi societari ai quali i sindaci partecipano (cfr. i criteri applicativi della norma di comportamento CNDCEC n. 2.3).