Con una lesione del ne bis in idem, il giudice deve disapplicare, solo in mitius, le norme sanzionatorie
Nella verifica di compatibilità del trattamento sanzionatorio complessivamente irrogato all’autore del reato di abuso di informazioni privilegiate (art. 184 comma 1 lett. a) del TUF) con il principio del ne bis in idem, il giudice penale deve valutare la proporzionalità del cumulo sanzionatorio rispetto al disvalore del fatto, da apprezzarsi con riferimento agli aspetti propri di entrambi gli illeciti (quello penale e quello formalmente amministrativo) e, in particolare, agli interessi generali sottesi alla disciplina degli abusi di mercato (anche sotto il profilo dell’incidenza del fatto sull’integrità dei mercati finanziari e sulla fiducia del pubblico negli strumenti finanziari); qualora detta valutazione dovesse condurre a ritenere il complessivo trattamento sanzionatorio lesivo della garanzia del ne bis in idem, il giudice nazionale dovrà disapplicare, naturalmente solo in mitius, le norme sanzionatorie.
Il principio di diritto già presente nella giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 49869/2018) ha trovato conferma con la sentenza n. 397 depositata ieri.
Nel caso di specie, nei gradi di merito il ricorrente era stato ritenuto responsabile del detto reato e, per i medesimi fatti, con delibera Consob non impugnata, si era visto applicare la sanzione amministrativa pecuniaria, determinata nei minimi, la sanzione interdittiva accessoria di cui all’art. 187-quater comma 1 del TUF e la confisca del denaro in sequestro quale prodotto o profitto dell’illecito (art. 187-sexies del TUF).
La sentenza ha ripreso analiticamente il lungo percorso della giurisprudenza europea e nazionale sulla violazione del divieto di bis in idem, a fronte dell’applicazione per il medesimo fatto di più sanzioni significativamente afflittive: quelle penali e quelle amministrative, ma di natura sostanzialmente penale.
In particolare, il riferimento della Corte è alle tre sentenze della Corte di Giustizia Ue del 20 marzo 2018 (C-524/15, C-537/16, C-596/16 e C-597/16) che hanno delineato la portata del principio del ne bis in idem in aderenza all’orientamento della Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza 15 novembre 2016, A. e B. c. Norvegia) e della Corte Costituzionale (sentenza n. 43/2018): da un lato, che il detto principio opera sulla base di un apprezzamento proprio della discrezionalità giudiziaria in ordine al collegamento tra il procedimento penale e quello solo formalmente amministrativo; dall’altro, che il criterio distintivo per affermare o negare il legame tra detti procedimenti è quello relativo all’entità della sanzione complessivamente irrogata.
Per la Corte, spetta, quindi, al giudice nazionale verificare la sussistenza o meno del requisito della proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio applicato. Qualora lo si ritenga incompatibile con la garanzia del ne bis in idem, si prospettano due soluzioni alternative, di portata diversa ma entrambe in applicazione diretta dell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali Ue e in disapplicazione delle norme sanzionatorie nazionali.
La prima ipotesi è quella che implica la disapplicazione in toto della norma relativa alla sanzione non ancora irrevocabile solo qualora la “prima” sanzione – sia essa penale o amministrativa – da sola sia proporzionata al disvalore del fatto, avuto riguardo anche agli aspetti propri della “seconda” sanzione e agli interessi generali sottesi alla disciplina degli abusi di mercato (Cass. n. 49869/2018).
Fuori dall’ipotesi, in verità eccezionale, che la sanzione amministrativa già irrogata sia da sola proporzionata al disvalore del fatto, l’accertamento del giudice comporta solo, nel caso che essa sia già divenuta irrevocabile, la rideterminazione delle sanzioni penali con la disapplicazione in mitius della relativa norma (non già in toto, ma) solo nel minimo edittale (art. 23 c.p.), con esclusione della multa in virtù del meccanismo compensativo di cui all’art. 187-terdecies del TUF.
Nel caso di specie, la decisione impugnata non si era adeguatamente soffermata su questa valutazione, operazione preclusa al giudice di legittimità, così da avere indotto l’annullamento della stessa con rinvio degli atti ad altro giudice di merito con l’onere di accertare se vi sia sproporzione del trattamento sanzionatorio – anche con riferimento alle sanzioni accessorie – e, in caso affermativo, rideterminare le sanzioni secondo i criteri appena sopra indicati.
Altro profilo toccato dalla Corte è la natura della responsabilità civile delineata dall’art. 187-undecies del TUF con riferimento alla riparazione in favore di Consob dei danni cagionati all’integrità del mercato. La disposizione raccoglie un’endiadi, prevedendo per l’Ente, sia la facoltà di costituirsi parte civile, sia la facoltà specifica di ripetere i danni conseguenti ai reati di market abuse. Profilo quest’ultimo innovativo, includendo il riconoscimento di una situazione giuridica soggettiva prima non considerata.
Inoltre, la Corte evidenzia una componente della riparazione associabile ad una funzione sanzionatorio-punitiva alla luce del complessivo trattamento sanzionatorio, penale e solo formalmente amministrativo. È quindi onere del giudice modulare anche il quantum della riparazione in modo da renderla compatibile con la necessaria proporzionalità delle sanzioni.