Risponde di falso materiale in atto pubblico se riceve somme dal cliente per pagamenti all’Erario e gli mostra ricevute di versamento falsamente redatte

Di Ciro SANTORIELLO

Si è soliti ritenere che i comportamenti illeciti e infedeli che un commercialista tiene nei confronti di un suo cliente (si pensi al mancato adempimento di alcuni obblighi, come l’invio di comunicazioni all’Erario, o le condotte di frode consistenti nell’impossessarsi delle somme che il cliente gli ha consegnato per il pagamento delle imposte) si risolvano di fatto in una aggressione dei soli interessi del cliente stesso, il quale di conseguenza è l’unico danneggiato dal reato e il solo interessato alla punizione del professionista.

Da questa impostazione derivano, evidentemente, conseguenze favorevoli alla posizione del commercialista, il quale vede considerevolmente alleggerita la sua posizione in sede penale.
Infatti, nella misura in cui si ritiene che le condotte truffaldine del commercialista danneggino il solo cliente privato i reati configurabili sono, in sostanza, o l’appropriazione indebita o la truffa; illeciti che, come si sa, in primo luogo non sono puniti con particolare severità e in secondo luogo sono procedibili a querela di parte.

Proprio quest’ultima circostanza fa sì, da un lato, che spesso il commercialista vada esente da sanzione perché la querela è presentata in ritardo rispetto al termine di tre mesi dal fatto previsto dal codice penale e, dall’altro, consente al professionista di risolvere la questione mediante un risarcimento alla persona offesa, la quale, vistasi così soddisfatta delle proprie pretese, rimette la querela impedendo la prosecuzione del procedimento penale.

Questa impostazione, però, non è stata recentemente condivisa dalla Cassazione con riferimento a una situazione che ha modo di verificarsi, purtroppo, con una certa frequenza, ovvero nell’ipotesi in cui il commercialista si faccia consegnare dal cliente somme di denaro per effettuare pagamenti all’Erario, senza provvedervi.

Infatti, se il professionista si limita a impossessarsi di tali somme, allora – conformemente a quanto detto in precedenza – rimane contestabile il solo delitto di appropriazione indebita o eventualmente di truffa.

Nel caso, però, in cui il commercialista, per dare conto dell’effettuato versamento delle somme di denaro, mostri al cliente ricevute di pagamento o versamento falsamente redatte e apparentemente emesse da enti pubblici, allora sussiste il ben più grave reato di falso materiale di un atto pubblico; reato procedibile d’ufficio e la cui punizione quindi prescinde dalla querela del cliente ingannato.

Tali principi si trovano affermati nella recente decisione della Cassazione n. 50196 del 2019, nella quale è stato condannato per il reato di falso un commercialista che aveva falsificato e mostrato al cliente, onde attestare di aver adempiuto agli obblighi di pagamento, quando i versamenti non erano mai stati fatti, una comunicazione di sgravio redatta su carta intestata dell’INPS e ricevute di pagamento a Equitalia.