Il profitto può coincidere con quello dei reati dichiarativi o essere correlato a condotte non penali
Nel delitto previsto dall’art. 10 del DLgs. 74/2000, quando l’importo dell’evasione sia stato aliunde determinato, è configurabile il profitto del reato – suscettibile di confisca, anche per equivalente, e di sequestro preventivo – con riguardo al tributo evaso e ad eventuali sanzioni ed interessi maturati sino al momento dell’occultamento o distruzione delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, trattandosi di risparmio di spesa che costituisce vantaggio economico immediato e diretto della condotta illecita tenuta.
È questo il principio di diritto espresso dalla Cassazione nella sentenza n. 166, depositata ieri.
L’art. 10 del DLgs. 74/2000 punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’IVA, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulti o distrugga in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari. A decorrere dal 24 dicembre scorso, in esito alle novità introdotte dal DL 124/2019 convertito, si è passati dalla reclusione ad un anno e sei mesi a sei anni alla reclusione da tre a sette anni. Dalla medesima data, inoltre, la fattispecie in questione è divenuta “reato presupposto” della c.d. responsabilità “231”; con la conseguenza che la sua integrazione nell’interesse o a vantaggio di una società determina, in capo alla stessa, il rischio di una sanzione amministrativa da 100 a 400 quote.
Si tratta di un reato di pericolo concreto e a dolo specifico di evasione (non necessariamente avente rilevanza penale) teso a tutelare l’attività di verifica fiscale che gli organi accertatori effettuano ai fini del controllo sull’osservanza degli obblighi dichiarativi e di pagamento delle imposte dovute, sanzionandosi quelle condotte che, finalizzate all’evasione, impediscano od ostacolino l’accertamento di un’obbligazione tributaria ed il conseguente avvio della procedura di esazione del debito erariale e dei relativi accessori (interessi e sanzioni). Essendo, poi, un delitto a consumazione anticipata, non è necessario che la finalità (di evasione) perseguita sia effettivamente conseguita. Gli organi accertatori, infatti, nonostante la condotta di occultamento o di distruzione posta in essere, ben potrebbero riuscire a ricostruire tramite altre strade (aliunde), anche con documentazione acquisita presso terzi, il volume d’affari ed il reddito conseguiti, quantificando, di riflesso, l’imposta dovuta.
Ed allora, quando non si riesca a ricostruire, neppure in parte, il reddito ed il volume degli affari, non è possibile individuare un illecito profitto suscettibile di confisca – diretta o per equivalente – conseguente alla condotta criminosa. Quando, invece, ciò si verifichi diventa possibile applicare la regola generale che prevede la confisca del profitto del reato, anche nella forma per equivalente, al momento dell’integrazione del reato, e non in un momento successivo; profitto che consiste nell’indebito vantaggio economico commisurato al debito d’imposta – eventualmente maggiorato di interessi e sanzioni dovuti sino al momento della commissione del fatto criminoso – altrimenti ignoto e di cui la condotta di occultamento o distruzione dei documenti contabili ha ostacolato la scoperta, consentendo al relativo autore di evitarne l’accertamento e l’esazione.
Rispetto a tale conclusione occorre considerare che l’illecito profitto derivante dal reato in esame potrebbe essere già stato conseguito dal contribuente disonesto a seguito della commissione di un reato dichiarativo in precedenza commesso, ovvero – laddove non siano superate le soglie di punibilità previste dalle fattispecie dichiarative – a seguito di un mero illecito amministrativo.
Riguardo al primo aspetto, osserva la Suprema Corte, posto che è pacificamente ammesso il concorso tra i delitti in materia di dichiarazione con il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili – non essendo configurabile alcuna relazione di genere a specie in grado di legittimare l’applicazione dell’art. 15 c.p. – laddove si proceda per simili fattispecie in concorso, con perfetta coincidenza del profitto, celato prima con il reato dichiarativo e poi con l’occultamento o la distruzione di documenti contabili, l’applicazione del principio del ne bis in idem sostanziale, che opera anche in materia di confisca, comporterà soltanto che il profitto confiscabile (o sequestrabile in via cautelare) sarà determinato una sola volta per l’importo corrispondente al medesimo debito d’imposta. Peraltro, posto che, a differenza di quanto accade nei reati dichiarativi, la condotta illecita di distruzione od occultamento può far conseguire l’ulteriore vantaggio di non far scoprire anche le somme nel frattempo già maturate a titolo di interessi o sanzioni, con riguardo a tale ulteriore profitto illecito non sorgerà alcun problema di duplicazione.
Allo stesso modo, se la condotta delittuosa di cui all’art. 10 del DLgs. 74/2000 sia commessa in relazione ad un illecito fiscale non costituente reato, ma mero illecito amministrativo, non si porranno ovviamente profili di duplicazione del profitto confiscabile (e, in via cautelare, sequestrabile).