Sebbene il quadro normativo non sia del tutto chiaro, il documento emesso può avere utilità in sede di verifica

Di Corinna COSENTINO e Emanuele GRECO

Le vendite a distanza, effettuate nei confronti di soggetti “privati” stabiliti in un altro Stato membro dell’Unione europea sono:
– di regola, soggette a IVA nello Stato del cessionario;
– soggette a IVA nello Stato del cedente, qualora l’ammontare delle vendite a distanza effettuate dal cedente nello Stato del cessionario sia inferiore a una specifica soglia stabilita da quest’ultimo Stato (è fatta salva, comunque, la facoltà per il cedente di applicare l’imposta nell’altro Stato).

Sotto il profilo documentale, la normativa interna contempla l’esonero dall’obbligo di emissione della fattura per “le cessioni di beni effettuate per corrispondenza, a domicilio o in forma ambulante” (art. 22 comma 1 n. 1 del DPR 633/72).
Le vendite per corrispondenza sono, altresì, esonerate dall’obbligo di certificazione mediante scontrino o ricevuta fiscale (art. 2 comma 1 lett. oo) del DPR 696/96).

Di riflesso, almeno in via transitoria, sino all’emanazione di un successivo decreto, le suddette operazioni sono escluse dagli obblighi di memorizzazione elettronica e di trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi giornalieri di cui all’art. 2 comma 1 del DLgs. 127/2015 (attualmente previsti per i soli soggetti che hanno realizzato un volume d’affari superiore a 400.000 euro nel 2018, ma estesi alla generalità dei soggetti passivi a decorrere dal 1° gennaio 2020). Lo ha confermato la risposta a interpello dell’Agenzia delle Entrate n. 198/2019. In assenza di trasmissione telematica, restano fermi gli obblighi ordinari di registrazione dei corrispettivi ex art. 24 del DPR 633/72.

Il quadro appena descritto è certamente valevole per quelle vendite a distanza, poste in essere da soggetti passivi nazionali nei confronti di “privati” stabiliti in altri Stati Ue, la cui tassazione avviene con applicazione dell’IVA in Italia (vale a dire le vendite a distanza “sotto soglia”).

Più di qualche dubbio concerne invece la possibilità di avvalersi del descritto esonero dagli obblighi di certificazione dei corrispettivi per le vendite a distanza “sopra soglia” con applicazione dell’IVA nello Stato del cessionario (oppure per quelle “sotto soglia” per opzione).

A livello sistematico, le operazioni “sopra soglia”, con IVA assolta nello Stato di destinazione dei beni, non dovrebbero essere soggette all’obbligo di fatturazione né alla certificazione dei corrispettivi, stante la formulazione ampia delle disposizioni di esonero previste a livello interno (art. 22 comma 1 del DPR 633/72, per l’esonero dalla fattura, e art. 2 comma 1 del DPR 696/96, per l’esonero dalla certificazione).

Tuttavia, anche se tali norme non pongono specifiche limitazioni rispetto alle operazioni con imposta da assolvere nell’altro Stato Ue, è da considerare che:
– l’art. 41 comma 1 lett. b) del DL 331/93 qualifica dette operazioni come cessioni intracomunitarie non imponibili ai fini IVA (cfr. anche C.M. n. 13/94);
– l’art. 46 comma 2 del DL 331/93 richiede, a livello generale, che per le suddette operazioni sia emessa la fattura;
– l’art. 46 comma 3 del DL 331/93 specifica che, per le “cessioni di beni in base a cataloghi, per corrispondenza e simili”, la fattura non richiede l’indicazione del numero di identificazione IVA del cessionario.

Inoltre, essendo qualificate come cessioni intracomunitarie non imponibili, tali operazioni dovrebbero essere riportate nell’ambito del modello INTRA 1-bis e dovrebbero concorrere alla formazione del plafond per gli esportatori abituali.
Va, peraltro, rilevato che il trattamento IVA riservato a tali operazioni dalla normativa interna non risulta pienamente conforme all’art. 33 della direttiva 2006/112/Ce, secondo cui le stesse dovrebbero essere considerate “cessioni interne” nello Stato di destinazione e cessioni fuori campo IVA nello Stato di origine, con la conseguenza che gli obblighi documentali dovrebbero essere determinati secondo le regole dello Stato di destinazione dei beni (previa identificazione diretta o nomina di un rappresentante fiscale).

In conclusione, considerata l’assenza di un quadro normativo chiaro, appare consigliabile provvedere comunque all’emissione del documento fiscale (eventualmente in formato elettronico, laddove tale soluzione risulti più conveniente), anche al fine di ottenere un elemento probatorio utile nel caso di eventuali contestazioni rispetto al regime IVA applicato. È di tutta evidenza, infatti, che, sebbene le transazioni in argomento siano generalmente pagate mediante strumenti tracciabili, in assenza di un documento fiscale che identifichi la controparte può risultare difficile provare lo status di “privato” del cessionario dei beni, anche nell’ottica della verifica del raggiungimento e/o superamento delle soglie previste dalla normativa in materia.

La questione non dovrebbe perdere di attualità neanche a seguito dell’introduzione, dal 2021, delle regole comunitarie in tema di vendite a distanza di cui alla direttiva 2017/2455/Ue.