In assenza di chiarimenti di prassi, appare prudente la sua applicazione
Il recesso dell’associato dallo studio professionale può essere accompagnato dal riconoscimento in capo allo stesso di un’apposita indennità, corrispondente al conferimento inizialmente effettuato e a una quota aggiuntiva, idonea a tener conto dell’apporto dato dal medesimo associato recedente all’acquisizione della clientela.
Dal riconoscimento di tale indennità sorge una serie di tematiche fiscali in capo sia al professionista recedente, sia allo studio professionale.
Con riferimento all’inquadramento della somma percepita dall’ex associato, in base a quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate (ris. 10 aprile 2008 n. 142), anche nel caso degli studi professionali dovrebbe poter trovare applicazione l’art. 20-bis del TUIR, secondo cui le somme attribuite ai soci nei casi di recesso si considerano redditi di partecipazione, da ricomprendere nella categoria reddituale da cui traggono origine (circ. Agenzia delle Entrate 13 febbraio 2006 n. 6, § 7.12).
La somma percepita dall’associato uscente, pertanto, si configura come reddito di lavoro autonomo (cfr. Norma di comportamento AIDC n. 111/1991), assoggettabile – al ricorrere delle determinate condizioni previste dall’art. 17 comma 1 lett. l) del TUIR – a tassazione separata (cfr. ris. Agenzia delle Entrate n. 142/2008).
L’indennità percepita assume, poi, rilevanza reddituale per la sola differenza da indennizzo (ossia la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle quote annullate), con relativa tassazione pro quota della stessa durante le annualità nelle quali verrà percepita.
Specularmente, l’associazione professionale potrà considerare gli importi corrisposti all’ex associato quali componenti negativi deducibili ai fini della determinazione del reddito prodotto dall’associazione medesima (cfr. C.M. 17 maggio 2000 n. 98, § 1.5.7; ris. Agenzia delle Entrate 25 febbraio 2008 n. 64).
La deduzione risulterebbe, poi, limitata alla sola parte afferente la “differenza da recesso” (ossia alla quota parte di indennizzo che non costituisce restituzione dell’apporto iniziale), dovendo avvenire pro quota nel corso delle annualità in base all’effettivo pagamento della stessa.
Sussistono, invece, dubbi circa l’obbligo di applicazione di una ritenuta ex art. 25 comma 1 del DPR 600/73 sulle somme corrisposte dallo studio all’ex associato.
In proposito, secondo l’AIDC, l’indennità di recesso, pur costituendo reddito di lavoro autonomo, non potrebbe essere considerata alla stregua di un compenso da assoggettare a ritenuta, essendo il frutto di un mero adempimento di un’obbligazione nascente dal rapporto associativo (cfr. Norma di comportamento AIDC n. 111/1991).
Non è, tuttavia, chiaro se tale orientamento possa considerarsi conforme all’impostazione data dalla prassi, posto che con la R.M. 24 maggio 1995 n. 127 l’Amministrazione ha affermato che per l’associato recedente sarebbe esclusa la possibilità di scomputare l’importo delle ritenute alla fonte relative alla somma attribuitagli dall’associazione.
Dal documento di prassi non appare, infatti, agevole evincere se le ritenute per le quali viene richiesta la possibilità di scomputo siano quelle subite dall’associazione professionale relativamente ai compensi incassati e poi attribuiti al socio oppure se siano quelle eventualmente effettuate dall’associazione per le somme attribuite al socio a titolo di recesso.
Tuttavia, considerati i profili di incertezza e nonostante la posizione dell’AIDC, si potrebbe optare per l’effettuazione della ritenuta sulle somme pagate a titolo di recesso dallo studio associato. Ciò in considerazione:
– della formulazione particolarmente ampia dell’art. 25 comma 1 del DPR 600/73;
– della circostanza per cui, in base all’impianto normativo e all’orientamento della prassi, l’indennità di recesso avrebbe natura di reddito di lavoro autonomo.
Inoltre, aderendo alla tesi prudenziale che vede l’associazione rivestire la qualifica di sostituto d’imposta, il professionista uscente dovrebbe poter legittimamente scomputare la ritenuta subita (in quanto percipiente del compenso), in virtù del principio generale di cui all’art. 22 comma 1 lett. c) del TUIR (il quale, per l’appunto, attribuisce al contribuente il diritto di scomputare dall’imposta dovuta le ritenute d’acconto che sono state operate sui redditi che hanno concorso a formare il suo reddito complessivo, nonché su quelli tassati separatamente).
Il divieto delineato dal citato documento di prassi sembrerebbe, infatti, poter trovare applicazione nelle sole ipotesi in cui le somme attribuite all’associato rappresentino gli ordinari utili derivanti dall’attività professionale trasferiti allo stesso in applicazione del principio di trasparenza.