Inapplicabilità del vincolo in forma diretta alle somme di denaro pervenute in epoca successiva alla consumazione del reato

Di Stefano COMELLINI

Con la sentenza n. 47103 depositata ieri, la Cassazione si è soffermata su due interessanti aspetti del sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta per reati tributari (art. 12-bis del DLgs. 74/2000): da un lato, la sua compatibilità con il concordato preventivo, anche in continuità aziendale; dall’altro, la corretta delimitazione del suo ambito di operatività.

Sotto il primo profilo, nel respingere l’argomentazione del ricorrente, la Corte ha affermato la compatibilità, in ambito penaltributario, tra il vincolo finalizzato all’ablazione in forma diretta e la procedura concorsuale. Il principio così espresso trae fondamento dallo stesso testo della norma citata, laddove dispone che “la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario in presenza di sequestro”. D’altronde, l’applicabilità del sequestro nonostante l’inoperatività della confisca deriva dalla funzione del primo, tesa a garantire che la misura ablatoria, inefficace con riguardo alla parte coperta dall’impegno del congtribuente, esplichi i propri effetti qualora il versamento promesso non si verifichi (Cass. n. 22061/2019).

Di qui, ad avviso della Corte, nessuna preclusione all’applicabilità del sequestro a fini di confisca diretta pure a fronte dell’intervenuta omologazione, anche in epoca precedente all’adozione del sequestro penale, di un concordato preventivo (Cass. n. 28077/2017); al pari di quanto avviene per la procedura fallimentare, anch’essa priva di rilevanza per il sequestro (Cass. n. 29951/2004), considerandosi applicabile la misura cautelare anche con riguardo a somme di denaro appartenenti a società fallita e assegnate ai creditori con piano di riparto dichiarato esecutivo ma non ancora eseguito (Cass. n. 7550/2019).
Infatti, le somme potenzialmente confiscabili ex art. 12-bis del DLgs. 74/2000 rilevano non tanto quali debiti nei confronti dell’Erario, ma anche, e soprattutto, in quanto profitto di un reato, nel caso di confisca diretta, ovvero in quanto mezzi necessari per assicurare l’attuazione di una sanzione di tipo penale, nel caso di confisca per equivalente.

Interessante è il rilievo, peraltro, incidentale della Corte circa l’assenza nel citato art. 12-bis di un criterio di rideterminazione dell’estensione del profitto del reato o, comunque, di deroghe all’ambito del vincolo ablatorio connesse alla stipulazione di transazioni fiscali; carenza normativa su cui auspica un intervento legislativo per non subordinare l’operatività di una misura di natura penale a scelte di natura amministrativa, fuori dal controllo del giudice penale.

La Corte ha invece accolto il ricorso sotto il diverso profilo se sia ammissibile il sequestro funzionale alla confisca diretta riguardo a somme di importo superiore alle disponibilità finanziarie che la società assoggettata al vincolo aveva alla data di commissione dei reati per cui si procede.
La giurisprudenza prevalente, richiamata dalla Cassazione, afferma sul punto che la natura fungibile del denaro non consente il sequestro e la confisca diretta delle somme depositate sui conti correnti bancari del reo ove si abbia la prova che le stesse non derivino in alcun modo dal reato (Cass. n. 6348/2019).

Ne consegue, in linea generale, il principio dell’inapplicabilità del vincolo in forma diretta alle somme di denaro pervenute in epoca successiva alla consumazione del reato perché estraneo al profitto conseguente all’illecito. In altre parole, poiché il profitto del reato tributario si individua nel “risparmio di imposta”, le dette somme non possono, evidentemente, rappresentare il risultato della mancata decurtazione del patrimonio quale conseguenza del mancato versamento delle imposte (Cass. n. 6348/2019).

Infatti, il risparmio di imposta conseguente alla commissione del reato, in quanto tale, non può che essere individuato con riferimento a utilità e valori esistenti al momento di perfezionamento dell’illecito.

In questo senso si è determinata la Corte con la precisazione che il sequestro e la confisca in forma diretta possono riguardare anche il denaro riferibile a crediti che, al momento della consumazione del reato, erano certi e liquidi, o agevolmente liquidabili, nel frattempo incassati, nonché a qualunque attività patrimoniale che esprima, in termini omogenei, il “valore economico” conseguente al reato ed esistente al momento della percezione dell’indebito “vantaggio”.

Versandosi nell’ipotesi del risparmio di spesa, il vantaggio può essere identificato, quindi, non solo nelle somme di denaro immediatamente utilizzabili per la spesa dovuta, ma anche nelle ulteriori attività patrimoniali esistenti a quel momento, agevolmente monetizzabili, e successivamente riscosse in denaro, quali, ad esempio, crediti su fattura realizzabili mediante sconto bancario.