La misura introdotta dal DL 124/2019 richiede il rilascio di una deroga da parte del Consiglio Ue

Di Emanuele GRECO

L’art. 4 comma 3 del DL 124/2019, in corso di conversione in legge, introduce una nuova fattispecie di reverse charge, seppur non immediatamente efficace in quanto subordinata al rilascio di una misura di deroga da parte del Consiglio dell’Unione europea.

La nuova disposizione prevede l’estensione del reverse charge per le prestazioni di servizi “effettuate tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest’ultimo o ad esso riconducibili in qualunque forma”. A tal fine è introdotta la nuova lettera a-quinquies) all’art. 17 comma 6 del DPR 633/72, che già disciplina il reverse charge c.d. “interno”.

In caso di autorizzazione da parte del Consiglio Ue, pertanto, anche per le suddette operazioni il prestatore del servizio emetterà fattura senza applicazione dell’IVA, essendo il debitore dell’imposta individuato nel soggetto committente. Quest’ultimo, salvo prestazioni non imponibili o esenti, sarà tenuto a integrare la fattura ricevuta secondo l’aliquota applicabile per lo specifico servizio e a registrare il documento sia nel registro degli acquisti (art. 25 del DPR 633/72) che nel registro delle vendite o dei corrispettivi (art. 23 o art. 24 del DPR 633/72).

La nuova ipotesi di reverse charge verrà ad affiancarsi alle due fattispecie già disciplinate, in tema di prestazioni di servizi, dalle lettere a) e a-ter) dell’art. 17 comma 6 del DPR 633/72, da intendersi comunque prevalenti sul piano normativo per espressa previsione della neointrodotta lett. a-quinquies).

Esse riguardano, rispettivamente:
– le prestazioni di servizi rese nel settore edile da soggetti subappaltatori, escluse le prestazioni rese nei confronti del “contraente generale”;
– le prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative ad edifici.

Esse già riguardano, peraltro, servizi caratterizzati da predominante utilizzo di manodopera. Come emerge nella circ. Agenzia delle Entrate n. 37/2015 (§ 3), richiamando la giurisprudenza di legittimità, sono ricomprese nel meccanismo del reverse charge le operazioni in cui le parti abbiano inteso “attribuire prevalenza all’attività lavorativa prestata (…). senza che sia di per sé dirimente il dato oggettivo del raffronto tra valore della materia impiegata e valore dell’opera prestata” (Cass. n. 6925/2001; Cass. n. 11602/2002).

Sono, infatti, soggette a reverse charge ex art. 17 comma 6 lett. a) e a-ter) del DPR 633/72 le sole prestazioni di servizi dipendenti da un contratto di appalto e non le forniture con posa in opera (in quanto “cessioni di beni”).
Al riguardo, la Cassazione ha ulteriormente precisato che si configura un appalto (o subappalto) “quando la fornitura della materia costituisce un semplice mezzo per la produzione dell’opera ed il lavoro è lo scopo essenziale del negozio, in modo che le modifiche da apportare al bene consistono non già in accorgimenti marginali e secondari diretti ad adattarlo alle specifiche esigenze del committente della prestazione, ma sono tali da dar luogo ad un servizio che, sotto il profilo qualitativo, assume valore determinante al fine del risultato da fornire alla controparte”.

Seppure l’efficacia della norma sia subordinata al benestare del Consiglio Ue, ad una prima lettura si può osservare che:
– è determinante il requisito che la prestazione sia eseguita presso le “sedi di attività del committente”;
– i beni strumentali per l’esecuzione del servizio devono essere di proprietà del committente o ad esso riconducibili.
Sono espressamente escluse dalla nuova disciplina le prestazioni di servizi:
– nei confronti delle agenzie per il lavoro di cui all’art. 4 del DLgs. 276/2003;
– nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle società e degli enti per le quali l’IVA si applica con il meccanismo dello split payment (art. 17-ter del DPR 633/72).

L’autorizzazione del Consiglio dell’Unione europea è richiesta a norma dell’art. 395 della direttiva 2006/112/Ce, in quanto relativa all’introduzione di una misura di deroga rispetto alla direttiva stessa.
La richiesta, presentata da uno Stato membro, può avere ad oggetto una norma il cui scopo sia quello “di evitare talune evasioni o elusioni fiscali”.

L’iter prevede che lo Stato membro presenti la propria richiesta alla Commissione e che la procedura sia comunque completata entro otto mesi dal ricevimento della suddetta richiesta.
Il rilascio della misura di deroga da parte del Consiglio Ue non è scontato. In precedenza, ad esempio, si ricorda il diniego nei confronti dell’Italia della possibilità di prevedere l’applicazione del reverse charge ex art. 17 comma 6 lett. a-quater) del DPR 633/72, in riferimento alle prestazioni di servizi rese dalle imprese consorziate nei confronti del consorzio di appartenenza aggiudicatario di una commessa nei confronti di un ente pubblico soggetto a split payment (si veda “Stop della Ue al reverse charge nei rapporti tra consorzi e consorziati” del 22 giugno 2018).