Per l’ad di Cerved, le oltre 100.000 PMI classificate come «sicure» o «solvibili» potrebbero finanziare investimenti per 133 miliardi di euro
Il rispetto degli obblighi organizzativi previsti dal Codice della crisi comporterà investimenti non trascurabili in sistemi di risk management, formazione e per nominare gli organi di controllo. Secondo il Rapporto Cerved PMI 2019, presentato ieri a Milano a Osservitalia con Borsa Italiana, i maggiori costi per ogni PMI saranno compresi tra 20 e 40 mila euro all’anno. I benefici per il sistema potrebbero comunque superare i costi e raggiungere i 10 miliardi di euro (contro 6 miliardi di spesa) se le PMI coglieranno quest’opportunità per migliorare la loro gestione economico-finanziaria.
Il Cerved, partner scientifico del CNDCEC nell’elaborazione degli indici della crisi, ha dedicato il focus alle novità del DLgs. 14/2019 nell’ambito del rapporto che fotografa lo stato di salute delle piccole e medie imprese italiane. Dai numeri emergono indici di redditività in calo, fatturato in aumento in termini nominali ma nella sostanza fermo ai livelli del 2017, valore aggiunto cresciuto a ritmi più ridotti dei costi del lavoro, con effetti negativi sulla produttività e sui margini, tempi e ritardi nei pagamenti di nuovo peggiorati, dopo una lunga fase di miglioramento: la ripresa delle PMI, che durava dal 2013, nel 2018 ha perso slancio e ha continuato a perderlo anche nella prima parte del 2019.
Anche per i dati relativi alla demografia di impresa il Cerved parla di una “fotografia in chiaroscuro”: il numero di PMI, dopo il positivo balzo del 2017 (+5,5%), ha continuato a crescere nel 2018 ma a ritmi più lenti (+2,9%), raggiungendo quota 161 mila. Sul fronte delle uscite dal mercato, la fase di netto miglioramento è terminata: nel 2018 è di nuovo aumentato il numero di PMI che hanno avviato procedure di default o di liquidazione, con una lieve inversione di tendenza quest’anno. Dopo essere tornati su livelli fisiologici, nel 2019 i fallimenti sono di nuovo aumentati, con incrementi più sostenuti nell’industria e nei servizi.
Secondo il Cerved, tuttavia, non è stato intaccato il processo di rafforzamento dei fondamentali finanziari delle PMI, che prosegue da molti anni. I debiti finanziari sono cresciuti per il secondo anno consecutivo nel 2018, con un’accelerazione rispetto al 2017 (+2,2% contro +1,2%). Parallelamente, le PMI hanno rafforzato il proprio capitale a ritmi decisamente più sostenuti (+8,5%). Ne è seguita un’ulteriore riduzione del peso dei debiti finanziari in rapporto al capitale netto, sceso nel 2018 al 63%.
Nonostante la congiuntura non più favorevole, dunque, le aziende italiane sono finanziariamente sempre più solide.
“Grazie a uno sforzo di capitalizzazione degli imprenditori e al dividendo del quantitative easing, che ha ridotto il peso degli oneri finanziari, oggi abbiamo un sistema di imprese molto più solido – conferma Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved Group –: le oltre 100.000 PMI che classifichiamo come «sicure» o «solvibili» potrebbero finanziare investimenti per 133 miliardi di euro senza compromettere il loro profilo di rischio”.
Per quanto riguarda gli oneri e i benefici apportati dal Codice della crisi per Mignanelli “le stime vanno prese con cautela, anche per l’incertezza sulla concreta applicazione delle nuove norme”. Il Cerved prevede, basandosi sulle aspettative di un panel di esperti, che il rispetto delle norme richiederà investimenti per circa 3,8 miliardi di euro l’anno (2,2 a carico delle PMI). In caso di un’ampia diffusione dei sistemi di tesoreria, che segnalano per tempo le situazioni di difficoltà, si arriverebbe a 6 miliardi (2,5 per le PMI e altrettanti per le microimprese), cioè circa 15-20 mila euro l’anno per una piccola impresa e il doppio per una media.
“Se si affronterà la riforma in una logica di mera compliance, affidandosi esclusivamente agli indici di bilancio – conclude Mignanelli –, i costi supereranno di gran lunga i benefici. Al contrario, se verranno adeguati realmente i modelli organizzativi, il sistema potrà «salvare» molte imprese dal default e permettere tassi più alti di recupero degli attivi nelle società comunque destinate a uscire dal mercato, con benefici che abbiamo quantificato in 9,9 miliardi di euro contro i 6 miliardi di costi. La diffusa adozione di sistemi ERM, inoltre, avrebbe importanti ricadute sulla «trasparenza» delle piccole e microaziende solide, che pagherebbero meno il denaro e potrebbero accedere a maggiori prestiti per oltre un miliardo. In tutto ciò, ovviamente, un ruolo importante sarà giocato dal sistema bancari”.
Anche nel prossimo triennio, secondo l’analisi, le PMI italiane continueranno a evidenziare profili solidi, pur crescendo poco per la congiuntura economica debole, al di sotto di un punto percentuale in termini reali: nel 2019, infatti, i fatturati segneranno una netta frenata e accelereranno leggermente nel successivo biennio, mentre la redditività lorda sarà sostanzialmente ferma per poi crescere a ritmi lenti. Gli indici di redditività subiranno un’ulteriore flessione: nel 2021, al termine del periodo di previsione, il ROE si attesterà al 10,4% (dall’11% del 2018). Il rafforzamento patrimoniale e il calo della rischiosità, però, dovrebbero proseguire, anche se più lentamente rispetto al passato.