La valutazione dell’andamento della tesoreria e dell’indebitamento non implica un giudizio di convenienza economica

Di Antonio NICOTRA

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27865/2019, ha stabilito che il potere del tribunale di revocare l’ammissione al concordato con continuità aziendale, qualora l’esercizio dell’attività di impresa risulti manifestamente dannoso per i creditori (art. 186-bis ultimo comma del RD 267/42), non implica che l’organo giudicante abbia il compito di procedere alla valutazione della convenienza economica della proposta, bensì la necessità di verificare che l’andamento dei flussi di cassa e dell’indebitamento sia coerente con l’obiettivo del risanamento dell’impresa, così come indicato nella proposta e nel piano, e che non sia tale da erodere le prospettive di soddisfazione dei creditori.
Tale sindacato non esorbita dai confini della valutazione di convenienza economica, rimanendo all’interno della valutazione riservata al giudice del merito.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello revocava la sentenza dichiarativa di fallimento della società sul rilievo dell’intervenuta violazione, da parte del tribunale, dei limiti del sindacato di fattibilità giuridica del piano concordatario. Si osservava, in particolare, che i rilievi mossi dal tribunale riguardo all’effettiva realizzabilità dei flussi finanziari previsti nel piano, lungi dal rappresentare indici rivelatori univoci di manifesta ed effettiva inettitudine del piano a realizzare gli obiettivi prefissati, investivano il merito del giudizio di fattibilità economica, ossia la valutazione in ordine alla probabilità di successo economico del piano e i rischi inerenti, riservata ai creditori.

La Suprema Corte rammenta che, in tema di concordato preventivo, il tribunale è tenuto a una verifica della fattibilità del piano per poter ammettere il debitore alla relativa procedura. Tale giudizio è diverso da quello sulla convenienza economica (spettante ex lege ai creditori). La verifica di fattibilità comprende sia l’aspetto giuridico sia l’aspetto economico del concordato, perché entrambe le valutazioni rientrano nel perimetro della valutazione di realizzabilità prima facie (di plausibilità) della causa concreta (cfr. Cass. n. 5825/2018).

A differenza del controllo di fattibilità giuridica, quello concernente la fattibilità economica (realizzabilità in concreto), può essere svolto nei limiti della verifica della sussistenza, o meno, di una manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati, individuabile, caso per caso, in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi (con ciò ponendosi il giudice nella prospettiva funzionale, propria della causa concreta).

Tali principi vengono maggiormente in rilievo nell’ipotesi di concordato con continuità aziendale ex art. 186-bis del RD 267/42, perché, in tal caso, la rigorosa verifica della fattibilità “in concreto” presuppone – maggiormente – un’analisi inscindibile dei presupposti giuridici ed economici, dovendo il piano con continuità essere idoneo a dimostrare la sostenibilità finanziaria della continuità stessa in un contesto in cui il favor per la prosecuzione dell’attività imprenditoriale è accompagnato da una serie di cautele, inerenti il piano e l’attestazione, tese a evitare il rischio di un aggravamento del dissesto ai danni dei creditori (al cui miglior soddisfacimento la continuazione dell’attività è funzionale; cfr. Cass. n. 9061/2017).

Pertanto, in ragione della previsione dell’art. 186-bis ultimo comma del RD 267/42, il tribunale, al fine di esercitare il potere di revoca dell’ammissione al concordato con continuità aziendale qualora l’esercizio dell’attività di impresa risulti manifestamente dannoso per i creditori, deve verificare che l’andamento dei flussi di cassa e dell’indebitamento sia coerente con l’obiettivo del risanamento dell’impresa così come indicato nella proposta e nel piano, e che non sia tale da erodere le prospettive di soddisfazione dei creditori.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello non aveva compiuto un apprezzamento effettivo in merito alle carenze del piano così come emergenti dai rilievi dei commissari e del tribunale, essendosi limitata a sostenere, erroneamente, che la valutazione che aveva condotto il tribunale a revocare l’ammissione al concordato e a dichiarare il fallimento ricadesse nell’ambito del giudizio (di fattibilità economica) riservato ai creditori.

La Cassazione, infine, rammenta – rispondendo a un quesito proposto in sede di ricorso incidentale – che la società di capitali con partecipazione in tutto o in parte pubblica è assoggettabile al fallimento in quanto soggetto di diritto privato agli effetti dell’art. 1 del RD 267/42, essendo la posizione dell’ente pubblico all’interno della società unicamente quella di socio in base al capitale conferito, senza che gli sia consentito influire sul funzionamento della società avvalendosi di poteri pubblicistici. La natura privatistica della società non è incisa dal c.d. controllo analogo, mediante il quale l’azionista pubblico svolge un’influenza dominante sulla società (Cass. nn. 3196/2017 e 5346/2019).