Non è legittimo il recupero del credito in quanto il professionista, in possesso dei requisiti, si era iscritto nell’elenco dopo l’apposizione

Di Alice BOANO

L’art. 1 comma 574 della L. n. 147/2013, così come modificato dall’art. 3 del DL 50/2017, ha disposto l’obbligo di richiedere l’apposizione del visto di conformità ex art. 35 comma 1 lett. a) del DLgs. 241/97, da parte di un soggetto abilitato, per utilizzare in compensazione, mediante il modello F24, crediti di importo superiore a 5.000 euro annui, derivanti da imposte sui redditi (IRPEF e IRES) e relative addizionali, IRAP, ritenute alla fonte e imposte sostitutive delle imposte sui redditi.

Secondo l’Agenzia delle Entrate, nel caso in cui il professionista non risulti iscritto nell’elenco tenuto dalle competenti Direzioni regionali, il visto di conformità non è considerato validamente rilasciato.
Per l’effetto, in relazione all’utilizzo in compensazione orizzontale ex art. 17 del DLgs. 241/97 di crediti, l’Agenzia delle Entrate procede nei confronti del contribuente con il recupero dell’ammontare dei medesimi crediti, dei relativi interessi, nonché all’irrogazione delle sanzioni in caso di violazione dell’obbligo di apposizione del visto di conformità, con applicazione della sanzione prevista dall’art. 13 del DLgs. 471/97.

La giurisprudenza ha in diverse occasioni attenuato la posizione del contribuente, sino a considerarlo esente da responsabilità, nel caso di visto rilasciato da un professionista privo di requisiti.
Siffatta tipologia di inadempienza, secondo alcuni giudici di merito, deve essere imputata al professionista in quanto il contribuente, se per certi versi deve scegliere con cura a chi affidare l’incarico, non può essere destinatario di una responsabilità oggettiva (C.T. Prov. Brescia 19 settembre 2016 n. 651/4/16).

In base ad analoghe considerazioni, C.T. Prov. Milano 12 aprile 2018 n. 1630/22/18 ha ritenuto illegittima la sanzione da indebita compensazione di crediti IVA esistenti irrogata in ragione del fatto che il visto di conformità apposto sulla dichiarazione non era regolare, difettando l’autorizzazione ex art. 21 del DM 164/99.
All’epoca dei fatti, osserva la Commissione, il contribuente non poteva verificare se il professionista avesse inviato la comunicazione prescritta da tale norma, e, per di più, è stato dimostrato che il mancato inoltro della stessa era dovuto ad un errore informatico.

Interessante è, ancora, la vicenda affrontata dalla pronuncia della C.T. Reg. Lombardia 6 agosto 2019 n. 3335/16/19, relativa ad una società a cui era stata disconosciuta la compensazione di un credito di imposta in ragione del fatto che il visto di conformità era stato apposto da un soggetto che, al momento della condotta, non risultava iscritto all’elenco tenuto dalla DRE.

La Commissione Tributaria di Milano aveva respinto il ricorso di parte privata poiché non solo la violazione era stata ritenuta commessa, ma altresì perché si profilavano a carico del contribuente gli estremi della culpa in eligendo.
In sede di appello i giudici tributari sono giunti a conclusioni opposte sulla base di alcune considerazioni di carattere generale.

In primo luogo, si evidenzia, il credito di imposta era esistente ed era “spendibile”, quindi per l’Erario non vi era stato alcun danno.
Non è corretto, in secondo luogo, sanzionare il contribuente per ogni trascurabile irregolarità o violazione senza una debita contestualizzazione della fattispecie: il sistema sanzionatorio non può esser disgiunto dagli obbiettivi per cui la legge colpisce e sanziona.

Riprova ne è il fatto che lo Statuto del contribuente impone all’Amministrazione di instaurare un contraddittorio con il contribuente al fine di rimuovere gli ostacoli, le incomprensioni o equivoci che, sempre a detta della Commissione, sempre possono esserci.
Oltre ai richiamati principi generali, decisiva la circostanza di fatto che sì il professionista non era all’epoca abilitato ad apporre il visto di conformità, ma lo sarebbe stato dall’anno dopo in poi, tanto che il contribuente ha depositato una serie di sentenze della Commissione tributaria provinciale riguardo ad altri contribuenti, ma dove il punto in contestazione era sempre l’abilitazione del predetto professionista.

Prima di irrogare la sanzione l’Ufficio avrebbe dovuto invitare la società a regolarizzare la sua posizione, sulla scorta di quanto previsto all’art. 6 comma 5 della L. 212/2000.
Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, la Regionale ritiene “legittima” l’apposizione del visto di conformità (e, per l’effetto, la compensazione) in quanto rilasciato da un professionista che, al momento di apposizione, era in possesso di tutti i requisiti per iscriversi all’elenco della DRE.

Le considerazioni sin qui svolte devono tenere conto del controllo in fase di ricezione telematica delle dichiarazioni circa la presenza del nominativo del professionista nel predetto elenco. Ove venga riscontrata una irregolarità,viene inserita una segnalazione nella ricevuta e ne viene data comunicazione anche alla Direzione regionale competente per territorio dell’Agenzia delle Entrate (nota informativa CNDCEC 19 luglio 2019 n. 70).