Nella bozza del Ddl. di bilancio 2020 la norma che fa rivivere le disposizioni agevolative del DL 201/2011, abrogando contestualmente la c.d. mini IRES

Di Gianluca ODETTO

La bozza del disegno di legge di bilancio per il 2020 ridisegna la disciplina delle agevolazioni per la capitalizzazione delle imprese, con una reviviscenza dell’ACE, già dal periodo d’imposta 2019, e una contestuale abrogazione della c.d. mini IRES, che quindi andrebbe sul binario morto senza essere mai applicata.
Per cogliere le novità che si prospetterebbero occorre richiamare brevemente le modifiche normative che si sono succedute nell’ultimo anno, partendo da quelle apportate dall’art. 1 comma 1080 della L. 145/2018 di soppressione dell’ACE.

La norma si era mossa in tre direzioni:
– abrogazione dell’art. 1 del DL 201/2011 (norme generali sull’agevolazione);
– abrogazione dell’art. 1 commi 549-553 della L. 232/2016, che aveva apportato modifiche ulteriori alla disciplina (in particolare, il calcolo per i soggetti IRPEF, con una basse fissa di partenza rappresentata dalla differenza fra il patrimonio netto al 31 dicembre 2015 e il patrimonio netto al 31 dicembre 2010);
– salvaguardia del riporto delle eccedenze ACE risultanti al termine del periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2018.

Proprio l’indicazione data dalla norma in merito al riporto delle eccedenze ACE era indice chiaro del fatto che era il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2018 l’ultimo di quelli per cui l’ACE continuava ad applicarsi in modo “pieno”, mentre per i periodi d’imposta successivi l’impresa avrebbe solo potuto continuare ad utilizzare, sino ad esaurimento, le eccedenze non sfruttate.

A seguito dell’abrogazione dell’ACE, il legislatore aveva poi introdotto la c.d. mini IRES, prima con l’art. 1 commi 28-34 della stessa L. 145/2018, e poi (abrogando queste stesse norme), con l’art. 2 del DL 34/2019. La nuova agevolazione riprendeva alcuni aspetti dell’ACE (in primis, legando i benefici fiscali al fatto che gli utili non fossero distribuiti), ma agiva a livello di aliquota e non di base imponibile, prevedendo una riduzione graduale dell’aliquota IRES dal 22,5% per il 2019 sino, a regime (e cioè dal 2023), al 20%.

Secondo la bozza del disegno di legge di bilancio 2020:
– l’ACE dovrebbe rivivere, già con effetto dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018 (e quindi già dal 2019, per i soggetti con esercizio solare coincidente con l’anno solare);
– con la medesima decorrenza dovrebbero essere abrogate le disposizioni sulla “mini IRES”, che quindi, dopo due sfortunate formulazioni, di fatto non troverebbe mai alcuna applicazione.

Ne risulterebbe un quadro in cui l’ACE si applicherebbe senza soluzione di continuità, in quanto il 2019 risulta già “coperto” in via normativa. Le imprese potranno quindi computare nella base di calcolo dell’agevolazione per il 2019, con le consuete e sperimentate regole, sia l’utile dell’esercizio 2018 accantonato a riserva, sia i conferimenti e versamenti effettuati nel 2019.

L’applicazione dell’agevolazione senza soluzione di continuità dovrebbe poi garantire (e questo è, naturalmente, l’effetto di maggior rilievo) la possibilità di computare, per l’imposta dovuta per il 2019, tutti i conferimenti e gli accantonamenti di utili a riserva registrati dal 2011 in poi.

La reviviscenza dell’ACE ha, però, un elemento negativo di rilievo, rappresentato dall’ulteriore “limatura” al ribasso del coefficiente di remunerazione, stabilito all’1,3%. Le consuete regole di calcolo dell’agevolazione sono tali per cui il coefficiente va applicato all’intero incremento del patrimonio netto rilevato dal 2011 in avanti, e non alle sole variazioni registrate nell’anno per cui si effettua il calcolo: questo significa che, di fatto, verrà detassato un importo di 13.000 euro per ogni milione di euro di incrementi netti rilevanti, con un effetto premiale maggiore riservato ai soggetti con una elevata capitalizzazione ed un elevato autofinanziamento.

Il beneficio vede, quindi, una ulteriore riduzione rispetto a quanto sperimentato negli ultimi anni, per i quali il coefficiente era già stato ridotto all’1,6% per il 2017 e all’1,5% per il 2018, potendo in astratto portare a riduzioni di imposta minori anche in presenza di una base di calcolo più elevata.